Il 10 novembre 2005 Pippo Baudo era a Vigevano per un evento a favore dell’associazione Filéremo. A margine della serata, il noto conduttore si è prestato a un’intervista ai microfoni de L’Araldo Lomellino: al netto di qualche riferimento “datato”, si tratta di una testimonianza interessante e attuale anche oggi, a quasi 20 anni di distanza. La riproponiamo integralmente, per salutare a modo nostro un volto che, con il suo garbo e la sua professionalità, è stato sui televisori di milioni di italiani per tanti anni, diventando per un po’ tutti uno “di casa”.
La televisione è come una spugna: raccoglie tutto ciò che c’é sul pavimento. E quando la spremi ne fuoriesce il succo della società». Un suo celebre aforisma. La pensa sempre cosi?
«È cosi. Ormai non esiste una televisione sganciata da quello che accade nel mondo. La tv rappresenta la società nei suoi lati peggiori e in quelli migliori. Non possiamo nemmeno parlare di televisione brutta e di televisione bella. Spetta a noi, semmai, attraverso la televisione, cambiare il Paese».
Nell’era della tv “on demand” e delle nuove rivoluzionarie tecnologiche, la tv generalista, paradossalmente, guadagna sempre più consensi. Perché?
«È una televisione pericolosissima per il Paese, perché lo divide in due: chi ha e chi non ha. Chi può spendere, compra la scheda e si abbona a Sky; chi non può spendere deve accontentarsi di quello che passa il convento. Un po’ come è accaduto in America, dove si è creata una doppia società. Lo abbiamo visto nella tragedia di New Orleans, dove è stato chiaro per tutti che c’è una porzione significativa di popolazione al di sotto della soglia di povertà ed una popolazione ricca e abbiente. La televisione fatta per tutti serve invece a tutto il Paese e lo può educare. La televisione invece tra chi ha la scheda e chi non ce l’ha è una specie di carcere».
C’è chi sostiene che la tv generalista potrà sopravvivere in questa forma solo nei Paesi in via di sviluppo. Nei paesi occidentali, invece, la tv generalista, si dice, è ormai in crisi da tempo ed ha una sola via di uscita: diventare internazionale, tematica, multimediale e interattiva. È d’accordo?
«Ma che cos’è la televisione generalista? In sostanza è come un giornale. La prima pagina propone la politica; la seconda, I’economia, eccetera. Poi c’è la società, lo sport, la storia, lo spettacolo… Secondo me, la televisione tematica è una televisione generalista fatta per capitoli».

Lei, più di ogni altro, incarna la storia della tv, uno straordinario strumento che ha profondamente segnato la società italiana dalla seconda metà nel Novecento. Come vede, alla luce della sua esclusiva esperienza, la tv del futuro?
«Sono pienantente d’accordo che la televisione ha radicalmente trasformato il sistema di comunicazione e di apprendimento. Il fatto che io possa vedere quello che accade dall’altra parte del mondo in contemporanea è un fatto che non finirà mai di stupire. La televisione ha certamente un grande potere. Che cosa può diventare in futuro? La tecnologia sta avanzando. Stiamo già vedendo la televisione nei telefonini. È una prospettiva più asfittica, più massificata. Il cittadino potrebbe uscirne fuori più sconvolto, più confuso e poi, soprattutto, si può scavare molto di più nelle coscienze. Questa è una cosa che preoccupa».
La deriva del reality show e la mancanza in molti casi di una “etica della responsabilità” dovrebbe indurre tutti a preoccuparsi delle conseguenze nefaste che può avere la tv sui telespettatori, soprattutto i più giovani. Condivide questa analisi?
«Io penso che tutti i realizzatori dei reality siano degli incoscienti. L’obiettivo è quello di preparare una pietanza molto assortita, ma cinicamente assortita, dove c’é lo scandaletto e lo scandalone ogni sera. Se si seguono con attenzione, ci si accorge che in scaletta ogni sette minuti succede qualche cosa. Io lo trovo un “irreality”, perché la vita non è cosi. Il reality incentiva soprattutto un aspetto negativo dell’uomo: quello di ficcare l’occhio nel buco della serratura del vicino, che è una cosa abietta».
Saremo costretti a trovarci tutti in televisione. Un domani una coppia di sposi comunicherà in diretta se si vuole separare o non so che altro…
«L’obiettivo dei vari autori è questo. Far diventare tutto televisione».

Come la televisione influisce sulla cultura e nei rapporti tra le persone?
«La gente ormai ha perso ogni forma di pudore. Basta vedere gli spettacoli pomeridiani. Vanno in studio e racconta i fatti propri con una disinvoltura, in maniera spocchiosa. Il mistero di un rapporto a due è una delle cose più interessanti e più belle. Non va espresso platealmente».
I talk-show insegnano agli italiani a conversare e a riflettere o li fanno regredire?
«Insegnano innanzitutto a parlar male l’italiano. Quasi tutto i conduttori di talk-show, e anche quelli che ci vanno, con il congiuntivo hanno dei problemi notevoli. In Francia, ad esempio, questo non avviene».
Come dovrebbe essere fa televisione ideale?
«La televisione ideale si trova dentro qualunque programma, sia di intrattenimento, sia ludico. Ci vuole almeno un concetto, un’idea. Ogni programma deve lasciare il telespettatore con qualcosa che non sapeva».
La televisione, in un lontano futuro, potrà mai essere sostituita da qualcosa d’altro?
«Non lo so. La tecnica ci ha posto di fronte a cambiamenti impensabili. Internet, ad esempio, che era fuori dall’immaginazione. Può darsi che ci arriveranno le immagini attraverso apparecchi diversi, stampati sul muro… non so. Per rimane il fatto che la gente vuole comunicare».
Quali sono il più grande difetto e il più grande pregio della Tv?
«Il più grande pregio è quello tecnico. Un altro aspetto positivo è certamente quello di avvicinare la gente. Il difetto è l’eccessivo uso della persona umana, che viene sbattuta in “prima pagina” senza ritegno e senza educazione».
Popper rimprovera agli operatori televisivi di sottovalutare il loro compito educativo. Un’affermazione azzardata e pericolosa, per la verità, anche se in parte vera. È possibile intervenire, rivedendo l’intera architettura ideativo-produttiva degli apparati della comunicazione e, nello stesso tempo, coniugare queste scelte con le logiche di mercato?
«Popper non odiava la televisione. Lo hanno interpretato male. Diceva che la tv era pericolosissima perché è un mezzo che può sconvolgere lo spettatore. Diceva, usando la metafora del pilota di automobili, che per la tv ci vuole un ottimo pilota. Io penso che la televisione possa essere educativa. Non è educativa quando lo dichiara apertamente e dice al telespettatore: “Adesso ti erudisco”. Si può educare anche attraverso lo spettacolo leggero, raggiungendo lo stesso risultati positivi per I’Auditel. I numeri non si possono sottovalutare, perché sono importanti. Io posso fare una bellissima trasmissione ma se la vedono in trenta persone, mi resta solo la soddisfazione di aver fatto una bella cosa. Qualche critico teatrale elitario diceva che il bello di una rappresentazione teatrale è quando questa cerimonia quasi liturgica si svolge col teatro vuoto. Ma poi gli attori che cosa mangiano?».
È corretto utilizzare l’Auditel come giustificazione di una crescente insensatezza dei programmi della televisione generalista?
«Ma l’Auditel è un misuratore della pubblicità. Non a caso la Rai una volta parlava di indici di ascolto e indici di gradimento. Il fatto che io veda un programma non significa che lo gradisca, perché un programma può avere dei contenuti di attrazione morbosa, per cui mi blocca davanti al televisore. Ai pubblicitari non interessa se il programma é gradito, ma interessa solo se è visto. L’unico Paese che ha trasformato questo misuratore in indice di qualità è stato il nostro».
Mentana al posto di Bonolis…
«Speriamo che gli vada bene. Certo io mi divertirò lo stesso. Non è che perchè arriva Mentana mi dimetto io».
Qual è il segreto di Pippo Baudo, che riesce a battere Bonolis?
«Il segreto è che quando mi hanno chiamato in palese difficoltà 18 giorni prima di accettare l’incarico, si accontentavano del 18 per cento di share. Poi ho fatto qualche cosa di più… Adesso, sul fatto che arrivi Mentana ce ne faremo una ragione».
Nessuno si aspettava Pippo Baudo che a “Domenica in” appoggiasse i matrimoni gay… Dica la verità: la domanda improvvisa di Fiorello non se l’aspettava?
«Effettivamente è stato molto subdolo. Fiorello bisogna prenderlo per com’è. Lui ha una grande leggerezza. Qualunque cosa dica, anche se è pesante, non pesa mai. Sono pochi i comici che hanno questa forza. Oltre a lui c’è anche Roberto Benigni. Non sono mai volgari. Quello che dicono altri comici è spesso pesante e insopportabile».
Una domanda di rigore, per finire: un giudizio sullo show di Celentano.
«Lo spettacolo di Celentano è stato uno spettacolo pesante, perché, non essendo attore, fa pesare tutto. Quando dice che uno è rock e l’altro è lento dà anche un po’ fastidio. Primo perché è qualunquismo puro e poi perché spesso non è vero. Dire che aiutare una vecchietta ad attraversare la strada è rock è una banalità».
Ma Pippo Baudo è rock o lento?
«Io sono stato sempre rock e non sarò mai lento».
Massimo Sala