Cronache dalla pandemia / In Brasile si ferma il calcio: la situazione è seria

In Brasile l’allerta è massima e lo si capisce da un dettaglio non di poco conto:

Sono stati fermati i campionati statali, nel Paese del calcio questo è un segnale forte

Edoardo Pastormerlo studia a Joinville, città di quasi 500mila abitanti che si trova a sud di Curitiba. «La preoccupazione – racconta – l’ho vista martedì al supermercato, il giorno dopo che è stata dichiarata la sospensione di alcune attività come le scuole e appunto i campionati. C’erano famiglie con più di un carrello e qui è una novità, visto che in genere le “compras” si fanno col cestino; i prodotti che stanno andando di più sono uova, riso, pasta, carta igienica e alcool, di solito usato per ravvivare il fuoco del churrasco domenicale e ora impiegato come surrogato dell’Amuchina, che in Brasile non ho ancora visto». Del resto il contagio da coronavirus non è l’unica malattia infettiva con cui confrontarsi, in quanto, spiega Pastormerlo, «qui devi stare attento agli insetti di giorno per la dengue e di notte per la malaria, le antenne devono esser sempre ben dritte».

SI PREDICA BENE… Qualcosa di cui non sembra essersi reso conto il presidente Jair Bolsonaro: «Da un lato ci sono medici e rappresent+anti politici (soprattutto federali), che hanno compreso la gravità della situazione e stanno predisponendo le misure adeguate, dall’altro c’è la rappresentanza governativa centrale che ancora non è in grado di prendere una linea decisa. Prendiamo il presidente Bolsonaro per esempio: al ritorno dal suo viaggio a Washington, una volta scoperto che il suo addetto stampa era positivo al Covid-19 ha parlato a Rede Globo – molto più che una semplice ”Rai brasiliana” – della necessità di imporre regole, anche draconiane; eppure giusto ieri era a una manifestazione nella città di Rio e, se in un primo momento si era limitato a “battere il pugno” ai suoi sostenitori per evitare il contatto a mano aperta, qualche minuto dopo si è lasciato andare ad un bagno di folla con selfie e abbracci». Il tutto in una nazione in cui il sistema sanitario pubblico è sotto-dimensionato e avrebbe bisogno di investimenti, «basti pensare – commenta Pastormerlo – che all’inizio dell’anno non si riuscivano a trovare fondi per aprire 1.000 nuovi posti in terapia intensiva, mentre le proiezioni di questi giorni prevedono la necessità di un incremento pari a 11.000 unità. D’altra parte esiste anche il sistema privato, più di nicchia in quanto i costi sono molto alti e solo una piccolissima fetta di popolazione può permetterselo, ma sicuramente molto più efficiente:

le migliori cure saranno privilegio dei pochi ricchi o con una polizza

VISTI DAL BRASILE Se giorno dopo giorno la consapevolezza si fa strada anche in America meridionale, all’inizio non è stato facile comprendere le scelte italiane. «Devo essere onesto, quando ho sentito dei primi casi in Italia ho pensato a un allarmismo eccessivo e amplificato dai vari media, ma mi sono dovuto ricredere in poco tempo. Penso che le misure prese siano state corrette e tempestive, è l’aderenza alle norme che mi ha lasciato un po’ stupefatto con quei 20.000 casi di contravvenzione per “uscita ingiustificata”. Nel mio quotidiano sono in contatto con i miei amici e con la mia grande famiglia, ci tengono ad aggiornarmi e a tranquillizzarmi; a volte vorrei essere con loro per portare insieme il peso di queste giornate, ma a mente lucida sappiamo che non sarebbe la cosa più giusta. Ciò che mi dispiace di più in questi giorni è non poter stare vicino a un caro amico che prima di contrarre il virus ha perso il padre». In Brasile arriva la voglia di reagire del Belpaese: «Ho visto anche messaggi pieni di speranza e di unità, manifestazioni in balcone e flashmob che mi hanno fatto sorridere, questo mi fa capire che lo spirito è vuole rimanere alto».

Non c’è rassegnazione, ma piuttosto voglia di combattere

Giuseppe Del Signore

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