È finito in un campo di concentramento per non aver aderito alla Repubblica Sociale. Per questo Domenico Antonio Carchidi, nato e morto a Rosarno, ma la cui famiglia vive dagli anni ’50 a Vigevano, ha ricevuto la medaglia d’onore come ex internato dal prefetto di Pavia.
Domenico Antonio Carchidi, infatti, è nato a Rosarno, nel Reggino, quarto di sette fratelli, il 15 luglio 1923. Il padre Pasquale, allora ventisettenne, era massaro e la madre Mariantonia Ceravolo casalinga e mamma della numerosa famiglia. Domenicantonio, appena è un poco cresciuto, sperimenta precocemente la vita dura dei campi, fino a quando nel 1942 viene coinvolto nel secondo conflitto mondiale nel 67° reggimento fanteria.
L’ESPERIENZA NELLA FANTERIA Il 5 aprile 1943 viene assegnato al 311° reggimento fanteria che raggiunge in Croazia il giorno seguente. Il reparto, appartenente della divisione Casale, risulta disaggregato da tale unità e assegnato alla divisione Murge, V corpo d’armata, 2a armata, e il teatro operativo, essendo l’armata dislocata in Dalmazia settentrionale, Slovenia e Croazia, viene considerato pertanto territorio metropolitano. Il 311° reggimento fanteria, comandato dal colonnello Tullio Pettinelli, è accantonato a luglio in una caserma del disciolto esercito jugoslavo, ribattezzata «Duca di Bergamo», e situata in una gola ad un chilometro circa dal paesino di Gerovo, nell’entroterra di Fiume. Per contrastare la guerriglia partigiana si organizzano vari rastrellamenti e la caserma è attorniata da muniti capisaldi armati, i soldati non esitano ad aprire il fuoco.
LA CATTURA Questo il clima che respira Domenicantonio al suo arrivo, sebbene la situazione si sia già leggermente stabilizzata dopo l’operazione Weiss da poco condotta a termine dalle truppe dell’Asse contro i partigiani jugoslavi. Alla fatidica data dell’8 settembre 1943 il reparto del fante Carchidi si trova a Segna, sulla costa dalmata, e reagisce ai rinvigoriti attacchi dei partigiani jugoslavi, riuscendo a raggiungere Fiume dove viene sciolto il 14 settembre. È nelle concitate vicende di questi giorni di caos, con le truppe lasciate allo sbando e in un contesto da «si salvi chi può», che Domenicantonio viene catturato dagli ex alleati tedeschi e deportato in prigionia. Proclamata la Repubblica Sociale Italiana tra i soldati italiani prigionieri in Germania al fine di reclutare truppe per il futuro esercito repubblichino, ma Carchidi decide di non aderirvi. In un primo periodo grazie al mestiere di contadino riesce farsi adibire al lavoro coatto presso una fattoria, coll’avanzare degli alleati che bombardano e stringono in una morsa la Germania, è trasferito più a est.

IL LAVORO E LA LIBERAZIONE Nell’agosto del 1944, in seguito al massiccio bombardamento subito dalla stessa il 21 giugno 1944 che distrugge il 75% degli impianti, viene trasferito a lavorare presso la fabbrica Brabag di Schwarzeide, in Brandeburgo, per proseguire, per quanto possibile, la produzione di benzina sintetica dalla lignite. Sarà in questo periodo che Domenicantonio subirà i maggiori soprusi, con gli aguzzini delle SS che non lesinano percosse ai malcapitati di turno, patendo la fame e contraendo la malattia che in capo a pochi anni se lo porterà via. Nella primavera del 1945 il campo di prigionia in cui si trova Carchidi viene liberato dalle truppe dell’Armata Rossa.
RIENTRO E MORTE Solo nel settembre 1945 finalmente Domenicantonio può rientrate in famiglia: non pesa nemmeno 50 chili ed è minato ormai dalla malattia. Si sposa con Caterina Gallo e dal matrimonio nasce il 29 luglio 1948 Maria Antonia, ma è costretto a frequenti ricoveri all’ospedale Rizzoli di Bologna finché si spegne nella sua Rosarno per tubercolosi ossea il 13 agosto 1950 a soli 27 anni. La vedova si risposa con un fratello di Domenicantonio e la nuova famiglia si trasferisce a Vigevano nel 1956 per cercare un po’ di fortuna, approfittando di quel periodo di fermento e un po’ spregiudicato di quando la città era la capitale mondiale della calzatura.
Andrea Ballone