Ritornare al cuore. La lettera enciclica “Dilexit nos” pubblicata da papa Francesco riflette «sull’amore umano e divino del cuore di Gesù cristo» e rimette il cuore al centro della riflessione spirituale e filosofica.
CUORE «La svalutazione del centro intimo dell’uomo – il cuore – viene da più lontano: la troviamo già nel razionalismo greco e precristiano, nell’idealismo postcristiano e nel materialismo nelle sue varie forme. Il cuore ha avuto poco spazio nell’antropologia e risulta una nozione estranea al grande pensiero filosofico. Si sono preferiti altri concetti come quelli di ragione, volontà o libertà». Accanto a questi e non contro, il Papa vuole mettere il cuore perché «si potrebbe dire che, in ultima analisi, io sono il mio cuore, perché esso è ciò che mi distingue, mi configura nella mia identità spirituale e mi mette in comunione con le altre persone. L’algoritmo all’opera nel mondo digitale dimostra che i nostri pensieri e le decisioni della nostra volontà sono molto più “standard” di quanto potremmo pensare. Sono facilmente prevedibili e manipolabili. Non così il cuore». Ma anche poiché
il cuore rende possibile qualsiasi legame autentico, perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo.
IMPEGNO Ed è proprio su questi due assi, quello della «esperienza personale spirituale» e dello «impegno comunitario e missionario» che si muove la riflessione del pontefice, attraverso un excursus che dal testo sacro e dai Padri della Chiesa fino ai predecessori più recenti di Francesco consente di affermare «ancora una volta che il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo» e che «Gesù parla della sua sete di essere amato, mostrandoci che il suo cuore non è indifferente alla nostra reazione al suo desiderio», un amore che si manifesta come “proprietà” transitiva: «Dobbiamo tornare alla Parola di Dio per riconoscere che la migliore risposta all’amore del suo Cuore è l’amore per i fratelli; non c’è gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore. La Parola di Dio lo dice con totale chiarezza: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40), “Tutta la Legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il tuo prossimo come te stesso” (Gal 5, 14), “Sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1 Gv 3, 14), “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4, 20)».
FONDAMENTO Tutto il testo, che si collega esplicitamente alle lettere encicliche “Laudato si’” e “Fratelli tutti” e, secondo alcuni commentatori, ne è il fondamento spirituale, è percorso da questa tensione tra ciò che avviene “nel cuore” di ognuno e come questo si trasmette al di fuori. E allora ci si sposta dalla meditazione di figure quali san Francesco di Sales, santa Maria Margherita Alacoque, santa Teresa di Gesù Bambino (tra i tanti citati) a quella dell’imperatore romano Giuliano l’apostata, «che si chiedeva perché i cristiani fossero così rispettati e seguiti, e riteneva che una delle ragioni fosse il loro impegno di assistere i poveri e i forestieri, visto che l’Impero li ignorava e li disprezzava».
RIPARAZIONE Un duplice piano che porta alla “compunzione”, che «significa pentirsi seriamente di aver rattristato Dio con il peccato; significa riconoscere che siamo sempre in debito e mai in credito», ma anche a essere «consolati per consolare», giungendo alla “riparazione”: «In mezzo al disastro lasciato dal male, il Cuore di Cristo ha voluto avere bisogno della nostra collaborazione per ricostruire il bene e la bellezza». Questo perché «è certo che ogni peccato danneggia la Chiesa e la società, per cui “a ciascun peccato si può attribuire […] il carattere di peccato sociale”» tanto che san Giovanni Paolo II ha scritto di «una “struttura di peccato” che influisce sullo sviluppo dei popoli», un fenomeno che Francesco definisce di «alienazione sociale», citando sempre Wojtyla secondo cui «è alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono e il costituirsi di questa solidarietà interumana». E’ lo stesso papa Francesco a sottolineare la valenza sia comunitaria sia personale: «Proprio perché la riparazione evangelica possiede questo forte significato sociale, i nostri atti di amore, di servizio, di riconciliazione, per essere effettivamente riparatori, richiedono che Cristo li solleciti, li motivi, li renda possibili». E ancora
in sostanza, “la riparazione, per essere cristiana, […] presuppone due atteggiamenti impegnativi: riconoscersi colpevole e chiedere perdono”.
MISSIONE D’AMORE La riparazione così definita è «in ultima analisi offrire al Cuore di Cristo una nuova possibilità di diffondere in questo mondo le fiamme della sua ardente tenerezza» allo scopo ultimo di «far innamorare il mondo». In ciò consiste l’impegno comunitario e missionario, «la missione, intesa nella prospettiva di irradiare l’amore del Cuore di Cristo, richiede missionari innamorati, che si lascino ancora conquistare da Cristo e che non possano fare a meno di trasmettere questo amore che ha cambiato la loro vita». E il pontefice si chiede, citando Dante, «non è ciò che accade a qualsiasi innamorato?». «Io dico che pensando il suo valore / Amor sì dolce mi si fa sentire, / che s’io allora non perdessi ardire / farei parlando innamorar la gente». E non solo parlando: «Egli ti manda a diffondere il bene e ti spinge da dentro. Per questo ti chiama con una vocazione di servizio: farai del bene come medico, come madre, come insegnante, come sacerdote. Ovunque tu sia, potrai sentire che Lui ti chiama e ti manda a vivere questa missione sulla terra».
NECESSITA’ Di un amore di questo genere ha bisogno il mondo in cui «oggi tutto si compra e si paga, e sembra che il senso stesso della dignità dipenda da cose che si ottengono con il potere del denaro. Siamo spinti solo ad accumulare, consumare e distrarci, imprigionati da un sistema degradante che non ci permette di guardare oltre i nostri bisogni immediati e meschini. L’amore di Cristo è fuori da questo ingranaggio perverso e Lui solo può liberarci da questa febbre in cui non c’è più spazio per un amore gratuito». E «ne ha bisogno anche la Chiesa, per non sostituire l’amore di Cristo con strutture caduche, ossessioni di altri tempi, adorazione della propria mentalità, fanatismi di ogni genere che finiscono per prendere il posto dell’amore gratuito di Dio che libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità». A fare sintesi sono due figure femminili: Maria, la madre di Gesù che «custodiva (syneterei) tutte queste cose, meditandole (symballousa) nel suo cuore» e che «serbava (dieterei) tutte queste cose nel suo cuore». «Il verbo symballein (da cui “simbolo”) – scrive Francesco – significa ponderare, riunire due cose nella mente ed esaminare sé stessi, riflettere, dialogare con sé stessi. In Lc 2,51 dieterei significa “conservava con cura”, e ciò che lei custodiva non era solo “la scena” che vedeva, ma anche ciò che non capiva ancora e tuttavia rimaneva presente e vivo nell’attesa di mettere tutto insieme nel cuore». E le nonne: «Basta guardare e ascoltare le donne anziane che sono prigioniere di questi conflitti devastanti. E’ straziante vederle piangere i nipoti uccisi o sentirle augurarsi la morte per aver perso la casa dove hanno sempre vissuto […] Veder piangere le nonne senza che questo risulti intollerabile è segno di un mondo senza cuore». Un’enciclica dello spirito che parla dal cuore e del cuore, ma che chiama ad andare nel mondo e agire.
Giuseppe Del Signore