Osservatorio 04-10 / Un mondo a-polare

Un mondo a-polare. La scorsa settimana a New York si è svolta l’annuale Assemblea generale delle Nazioni Unite, che ha visto la partecipazione di tutti i paesi del mondo (anche se per Cina e Russia non erano presenti Xi e Putin) in quella che avrebbe dovuto essere una riflessione sullo stato del pianeta e su come affrontare le principali crisi che sta vivendo: cambiamento climatico, guerra in Medio Oriente, conflitto tra Russia e Ucraina (le cartine al tornasole di un globo in cui si contano molte altre faglie di crisi lungo quella che è stata definita “Caoslandia”, un territorio di scontri a varia intensità che lambisce America meridionale, Mediterraneo, Africa subsahariana, Medio Oriente, Asia Centrale, sud-est asiatico).

Invece è stata, di nuovo, né più né meno che una passerella di leader giunti per riaffermare le loro posizioni e recitare la loro parte senza voler dare alcun contributo effettivo, cosicché forse più che di “Palazzo di vetro” sarebbe opportuno parlare di “Palazzo di veto” per sintetizzare l’immobilismo in cui versa l’Onu a pochi giorni dal primo anniversario degli attacchi del 7 ottobre di Hamas che hanno innescato il conflitto in corso con l’escalation impressa da Israele fino all’attacco in Libano ancora in corso.

Il segretario generale Antonio Guterres ha affermato senza mezzi termini che «la condizione del nostro mondo è insostenibile» e questo nonostante «le sfide che fronteggiamo sono risolvibili». A causare il cortocircuito tre fattori di insostenibilità ovvero «un mondo di impunità, dove le violazioni e gli abusi minacciano le fondamenta del diritto internazionale e lo Statuto dell’Onu»,

un mondo di disuguaglianza, dove le ingiustizie e i risentimenti minacciano di indebolire i Paesi,

«un mondo di incertezza, dove i rischi globali non governati minacciano il nostro futuro in maniere inconoscibili». Tre mondi che sono «connessi e in collisione». Le parole più dure Guterres le ha riservate per quelle nazioni che si ritengono al di sopra di ogni convenzione: «Il livello di impunità nel mondo è politicamente indifendibile e moralmente intollerabile. Oggi un numero crescente di governi e altre entità si sente titolato di una carta “per uscire gratis di prigione”. Possono calpestare il diritto internazionale, violare lo Statuto dell’Onu, chiudere un occhio sulle convenzioni internazionali per i diritti umani e sui pronunciamenti delle corti internazionali». E questo senza che nulla accada. Il segretario ha fatto nomi e cognomi: la guerra in Ucraina, «l’incubo non-stop di Gaza» e quanto accade in Libano, così come nel corno d’Africa o in Sudan, Myanmar, Congo, Haiti, Yemen. Con forza ha sottolineato che «nulla può giustificare» sia «gli atti di terrorismo compiuti da Hamas il 7 ottobre e il rapimento degli ostaggi» sia «la punizione collettiva del popolo palestinese».

guerra Israele Palestina

MEGLIO COL MURO Eppure questo non ha impedito ad Hamas di agire né impedisce oggi a Israele di continuare la guerra a Gaza e ora in Libano, colpendo all’occorrenza in Siria o in Iran (l’omicidio del leader politico di Hamas Haniyeh). Perché quelle dell’Onu, per quanto accorate, restano solo parole e il motivo lo ha spiegato con lucidità lo stesso Guterres: «Per tutti i suoi pericoli la Guerra Fredda aveva delle regole. C’erano linee calde, linee rosse, guardrail. Non abbiamo nulla di questo oggi. Non abbiamo un mondo unipolare. Ci muoviamo verso un mondo multipolare, ma non ci siamo ancora. Siamo in un purgatorio di polarità». Alla caduta del muro di Berlino e per tutti gli anni ’90 tanti videro l’epoca successiva al Secolo Breve come quella della “fine della storia”, un’illusione ormai riconosciuta come tale ormai anche dall’ideatore di questa etichetta Francis Fukuyama, ma non ad esempio dalla classe dirigente e da gran parte dei popoli europei, convinti i secondi di vivere in uno stato di pace perenne e garantito per sempre (la seconda guerra mondiale del resto finiva 79 anni fa) e i primi di poter fare affidamento sempiterno sulla guida statunitense (altrimenti come si spiega l’assenza di un piano di pace europeo, di tutta l’Ue e non boutade di singoli stati, per il conflitto ucraino che vede proprio l’Ue come uno degli attori primari, a livello di coinvolgimento con le forniture militari e di conseguenze socio-economiche?). Il modello avrebbe dovuto essere quello unipolare-globalista: a fare da guida un’unica superpotenza, gli Usa, accanto tante potenze regionali (Ue, Russia, Cina, Turchia, Israele, ecc), un’era con qualche inevitabile scontro locale, ma sostanzialmente una “pax americana”. Invece conflitto jugoslavo, 11 settembre, guerra al terrorismo, primavere arabe, guerra civile in Siria con annesso Stato islamico, guerra in Ucraina, guerra aperta in Medio Oriente indicano chiaramente che con la fine della Guerra Fredda è venuto gradualmente meno anche il “linguaggio comune” della diplomazia internazionale, regole e prassi che valevano più del diritto internazionale perché erano la struttura che permetteva al diritto internazionale, che non poggia su alcuna forza militare e quindi di per sé non ha potere coercitivo, di funzionare, in quanto un diritto è tale quando, oltre a poter essere affermato, si ha la forza per garantirlo.

42MILA MORTI DOPO Così il 7 ottobre non è più solo l’anniversario degli attentati terroristici di Hamas che sono costati la vita a 1139 persone (più almeno 700 soldati) e la libertà a 251 ostaggi, molti dei quali poi morti, ma anche dell’inizio di un conflitto che ha ucciso anche altre 39mila persone a Gaza (secondo l’Ucdp, fonte indipendente; poco meno del 2% della popolazione) e oltre 1000 in Libano (a metà settimana). Nel paese dei cedri lo scontro aperto è iniziato dopo mesi di lanci di razzi da parte di Hezbollah – un soggetto che è sia organizzazione politica, parte del governo libanese, sia militare-terroristica – che hanno costretto migliaia di israeliani a lasciare le loro case, nonché di attacchi militari di Tsahal mirati a colpire le infrastrutture e uccidere gran parte del gruppo dirigente del “Partito di Dio”, culminati nell’operazione del Mossad (non rivendicata apertamente) che ha fatto esplodere migliaia di cercapersone e altri dispositivi elettronici in tutto il Libano, uccidendo almeno 37 persone e causando più di 4mila feriti. Il numero delle vittime è destinato a crescere, il primo ministro israeliano Netanyahu, dopo aver rifiutato qualsiasi proposta di cessate il fuoco, è andato a New York solo per definire l’Onu

palude antisemita

e ordinare, appena concluso un discorso molto duro, l’attacco che ha ucciso Nasrallah, il leader di Hezbollah, prologo dell’operazione militare iniziata lunedì. Il governo di Israele ha consapevolmente deciso di reagire al 7 ottobre con un conflitto militare non per sgominare Hamas o recuperare gli ostaggi (obiettivi dichiarati), ma per mettere fuori gioco gli attori che ne minacciano la sicurezza: Hamas, Hezbollah, attacchi mirati in Siria e in Iraq, le operazioni contro l’Iran. L’asse sciita è in crisi e la cosa non sembra dispiacere più di tanto i paesi sunniti (Arabia Saudita ed Egitto su tutti), tentati dalla possibilità di riscrivere gli equilibri in Medio Oriente. Proprio la Repubblica Islamica, in grande difficoltà interna, è il grande nemico di Tel Aviv: la scommessa è che non interverrà o l’obiettivo (non dichiarato) è portarla sul campo di battaglia? Al «popolo persiano» Netanyahu ha promesso (minacciato) che «quando l’Iran sarà finalmente libero, e quel momento arriverà molto prima di quanto la gente pensi, tutto sarà diverso».

Giuseppe Del Signore

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