Osservatorio 05-04 / Il valore di tempo e lavoro

Come si misura il tempo? A Vigevano col cronometro, a Belluno in felicità. Le regole di premialità fissate da Asm Vigevano e Lomellina penalizzano i dipendenti assenti per accudire i figli o perché malati, donatori di sangue e sono un cattivo segnale per la cultura del lavoro sul territorio.

L’accordo sul “Premio di risultato” è stato firmato il 6 marzo, non si sa se del 2024 o del 1824: proprio duecento anni fa il Regno Unito riconosceva il diritto a esistere delle “Trade Unions”, i sindacati. Il contesto non è più questo, ma l’Accordo dà lo spunto per una riflessione dal particolare al generale sui diritti dei lavoratori.
Partendo dal particolare «sono considerate assenza» – cioè concorrono al conteggio della percentuale di assenteismo che è il discrimine per stabilire il premio – il congedo parentale, l’allattamento o riposo giornaliero nel primo anno di vita del bambino (forse per contrastare l’inverno demografico), il congedo matrimoniale, le donazioni di sangue (in una Provincia che è importatrice di sacche di sangue perché quelle donate sul territorio non bastano a garantire le trasfusioni), i permessi per incarichi amministrativi e pubblici. Stringenti anche i criteri per la malattia: è conteggiata se oltre le 77 ore, se inferiore a 3 giorni ma in corrispondenza di festivi e ferie (in questo caso l’assenza conta doppio), se di un giorno (e dalla quarta volta conta triplo). Ammesso essere malati senza essere considerati assenteisti nella finestra tra le 73 e le 76 ore e se colpiti da

malattie connesse a situazione di invalidità riconosciuta.

Secondo l’azienda le voci relative ad allattamento, maternità facoltativa e donazione avrebbero un impatto dell’ordine di pochi euro, eppure proprio questo è indicativo di una questione culturale più ampia: per pochi euro si considerano dei diritti come se fossero dei privilegi. Non si vuol difendere l’assenteismo tout-court, comportamento da contrastare anche alla luce di tassi alti registrati dall’azienda in alcuni periodi dell’anno, ma stupisce trovare accanto alla firma di chi fa gli interessi dell’azienda e del delegato di Assolombarda anche quella delle rappresentanze sindacali aziendali; almeno da Asm si è manifestata la disponibilità a «disdire o rivedere i contenuti», mentre le Rsu tacciono. Si torna al quesito di partenza: come si misura il tempo? L’Accordo prevede per il 50% anche degli indicatori di qualità, che tuttavia sono perlopiù riferiti a parametri di quantità. Qui si passa al generale, perché l’idea di lavoro in Italia resta ancorata a una valutazione della quantità di tempo: al di fuori del privato, un esempio nel pubblico è la scuola, in cui i progetti spesso prevedono un pagamento sulla base delle ore svolte a prescindere dall’efficienza.

Con buona pace del “risultato” ciò che conta è essere presenti in ufficio o in fabbrica o in classe o allo sportello 8 ore su 8 e 5 giorni su 5, a prescindere da ciò che si fa. E questo mentre in Europa – e in poche realtà italiane – si sperimenta la settimana lavorativa di 4 giorni sul modello “100:80:100” ovvero stessa retribuzione, riduzione dell’orario e la medesima produttività. Nel Regno Unito il 91% delle aziende ha mantenuto la sperimentazione anche dopo il periodo di prova. In Italia a Belluno Luxottica da questa settimana ha avviato “Time for you”, progetto pilota che durerà per tutto il 2024 e prevede 4 giorni (32 ore) a parità di stipendio. Più che un altro paese sembra un’altra epoca.

Giuseppe Del Signore

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