Con un tempo incerto e sempre meno estivo è ormai in pieno regime l’esperienza entusiasmante dei Grest nelle parrocchie della nostra diocesi. È un mondo tutto speciale, quasi un’isola fuori dal tempo con una vita scandita da balli, giochi e preghiera, il cui linguaggio universale è quello della sfida di stare insieme. Eppure dentro a quella che sembra essere “roba da bambini” si trova uno specchio straordinariamente netto della realtà sociale del nostro tempo.
Dando ragione al motto scout “ tutto con il gioco, ma niente per gioco”, questo spicchio di vacanze pensato per la ricreazione e il divertimento fa, infatti, emergere tutti quegli appelli educativi che, forse, dentro la quotidianità rimangono sopiti. E vale la pena soffermarsi ad accoglierli per tracciare un percorso che nelle nostre comunità diventa lo spazio nel quale oggi ci è chiesto di annunciare il Vangelo della prossimità, agendo con gli strumenti a disposizione, per cambiare le cose con quel “sale e luce” che devo caratterizzare i discepoli del Risorto. Prima sfida che la comunità dei ragazzi propone è quella della fatica di “fare insieme”. Non si tratta tanto dell’incapacità di relazionarsi, quanto piuttosto quella di collaborare per realizzare qualcosa che non sia soltanto personale.
Forse onda lunga del tempo di lockdown oppure conseguenza di una quotidianità immersa in un rapporto “a tu per tu” con social e videogame, è innegabile una forte resistenza a tutto ciò che richiede dinamiche di gruppo e un “mettersi in gioco” al di là di ciò che già si conosce.
Un’altra provocazione riguarda, invece, il ruolo dei genitori all’interno di un progetto educativo come quello che i centri estivi parrocchiali solitamente propongono. In questo caso sembra esserci stato un passaggio dalla delega totale della gestione del tempo dei figli (il “modello parcheggio” di cui tanto spesso ci si lamenta) ad una “super presenza” non solo in quello che riguarda la gestione del tempo, ma addirittura sulle attività e sui programmi delle giornate che vengono proposte ai ragazzi. Forse, a guardar bene, non si tratta di un vero e proprio passaggio, ma semplicemente dell’altra faccia della medaglia che rischia di ridurre una proposta di formazione umana e cristiana (come è quella dei Grest parrocchiali) ad un semplice intrattenimento per occupare i ragazzi nelle ore in cui fa più comodo alle famiglie. Sembra un’analisi dura e di fatto si tratta solo di una veloce elenco di due sintomi gravi che devono però condurre ad elaborare una diagnosi e proporre una cura. Sì perché ciò che si osserva nelle giornate estive degli oratori diventa poi ciò che durante l’anno mina gran parte delle proposte rivolte ai ragazzi e alle famiglie.
Accanto a tutto questo resta il campo sterminato dell’accoglienza e del lavoro di integrazione di tanti bambini e ragazzi stranieri che trovano praticamente solo nelle proposte parrocchiali una possibilità di socializzazione ed inserimento dentro a una comunità umana che sembra essere sempre più settoriale ed elitaria. Insomma i punti in gioco sono tanti, le possibilità di lavoro infinite, occorre ora chiedersi quanto siamo disposti ad investire per metterci all’opera. Ma questa è un’altra storia, da affrontare forse con le prime foglie d’autunno.
Don Carlo Cattaneo