Ci sono storie che vengono da lontano eppure scorrono proprio accanto a noi. Vasile, il nome è di fantasia, la scorsa settimana ha festeggiato una tappa importante della sua; è nato in una delle repubbliche socialiste quando l’Unione Sovietica esisteva ancora ed è stato giovane negli anni della sua crisi e del suo disfacimento.
Anche la sua famiglia in quegli anni, in una sorta di parallelismo, era destrutturata perché il padre è venuto a mancare prima ancora che Vasile nascesse. Alla madre il compito di guidare i figli in quel mondo a cavallo tra due epoche, tra l’autoritarismo sovietico e la promessa della democrazia occidentale. Grazie al suo talento, Vasile ottiene una borsa di studio che gli consente di frequentare l’università e di laurearsi proprio nel momento in cui pure il sistema d’istruzione pubblico – uno dei pochi vanti dell’Urss – è in crisi. Ma il suo Paese non ha altro da offrirgli, per questo parte per l’Italia, dove trova un lavoro, anzi tanti lavori. Non quello per cui ha studiato, perché il suo titolo di studio non è riconosciuto dalla Repubblica italiana, ma letteralmente quelli che “trova”: è domestico, inserviente, assistente alla poltrona, infermiere, uomo delle pulizie.
Nel frattempo anche la sua vita va avanti, conosce una connazionale con cui si sposa, riprende a studiare e riesce a laurearsi di nuovo, per riuscire finalmente a fare il suo lavoro. Sono passati tanti anni e la sua storia è molto più complessa di quanto queste poche righe possano far immaginare (forse un giorno ne ricaverà una biografia-romanzo), il mondo intorno a lui è cambiato. E infine qualche giorno fa ha potuto raggiungere un altro traguardo che inseguiva da tempo: emozionato, ha pronunciato il giuramento ed è diventato cittadino italiano. I suoi occhi erano felici mentre lo raccontava, quella felicità che è arricchita di tutte quelle sofferenze che, parafrasando Maria, le persone
serbano meditandole nel loro cuore.
Non ricordo il mio giuramento, forse perché semplicemente non ho mai dovuto pronunciarlo, quindi non posso comprendere fino in fondo cosa si provi a ottenere qualcosa che non ho neppure dovuto chiedere. E anche quando ho registrato la nascita di mio figlio si è trattato solo di fare un po’ di fila all’ufficio competente, non di attendere anni né di fare sacrifici particolari. Una fila molto diversa da quella che ha scattato la “US Customs and Border Protection”, poi pubblicata dai canali ufficiali della Casa Bianca, con un gruppo di migranti irregolari ammanettati, la testa bassa, in procinto di salire a bordo di un aereo per tornare in Guatemala. Forse anche tra loro c’è un Vasile che sognava un giorno di pronunciare un giuramento; quando ci si approccia alla politica che, contrariamente alla vulgata antipolitica, interessa eccome la vita delle persone, bisognerebbe ricordarsi sempre che appunto di questo si occupa. Della vita. Delle paure, delle speranze, della grandezza, delle bassezze di ogni individuo. Chissà se Vasile crede… di certo è un autentico interprete di quella speranza a cui è consacrato l’anno giubilare.
Giuseppe Del Signore