L’animale ferito è il più pericoloso. Vedendosi ridotto alla malparata e a serio rischio di morte, infatti, l’istinto lo porta ad attaccare chiunque gli si avvicini, convogliando le poche forze che gli restano in un ultimo e disperato gesto di difesa e sopravvivenza.
Raramente questa tattica risulta vincente. Il predatore che lo ha sopraffatto trae da questo gesto ancor più aggressività per finirlo, mentre l’incauto passante che vorrebbe aiutarlo è costretto ad allontanarsi per non riportare dei danni spiacevoli. Così quello che poteva sembrare una strenua dimostrazione di forza si trasforma in un suicidio. La natura, purtroppo, ha le sue leggi. E non sempre sono clementi con chi deve agire senza l’ausilio della ragione. Tuttavia diventa una grande maestra da cui gli uomini possono apprendere per evitare di incorrere negli stessi infausti esiti. È un principio di straordinaria attualità per ogni ambito del vivere civile e della dimensione pubblica, al quale non è sottratta neppure la comunità cristiana che, pur non essendo “del mondo”, vive in esso, sottomessa, come tutti, all’ordine delle cose. Allora fa un po’ sorridere e preoccupare l’emergere, sempre più crescente, di uno stile di incontro con l’ “altro” improntato più ad una battaglia che ad un ascolto e ad una testimonianza. Non solo gruppi di frangia o associazioni “integraliste”, ma anche sacerdoti o semplici fedeli avvertono il bisogno di “nemici” contro i quali combattere e di “verità” da difendere con la violenza e l’irruenza degne delle peggiori guerriglie armate.
Non si tratta di cedere al relativismo o di negare un contenuto della fede che non può essere annacquato o mercanteggiato. Ad essere messo in discussione è lo stile, la modalità attraverso la quale annunciare un Vangelo che non è solo ideologia o dottrina, ma incontro con una Persona viva che ha parlato e agito in un determinato modo. In altri termini si può parlare di Cristo, contraddicendo nei termini e nelle modalità ciò che lui ha insegnato?
Volgarità, aggressività, distorsione della realtà e faziosità possono conciliarsi con i gesti di colui che ha incontrato una realtà malata, abbracciandola con la delicatezza di una madre piuttosto che sanarla con il bisturi del medico?
Sono domande necessarie che mettono in luce un mondo fatto di paura e insicurezza della propria fede che non accetta di essere messa in discussione, di incontrare un contraddittorio e pertanto bolla subito le voci discordanti come “pericolosi nemici” che vanno affrontati, umiliati e sconfitti. È la logica dell’animale ferito. È il modo di agire di un cattolicesimo che, paradossalmente, si sente moribondo e costretto ad usare la forza per tutelare ciò che ormai sembra perduto. Come conciliare questo atteggiamento con un Signore che si è fatto uomo per liberare dalla paura e dalla morte ed ha insegnato a vivere l’incontro con l’altro come un dono di salvezza, anche quando assume la forma del rifiuto, è tutto da dimostrare. L’atteggiamento di apertura, suggerito dal Concilio Vaticano II nei confronti del mondo contemporaneo, sembra così lontano. Eppure la scelta che si impone è molto chiara: o il coraggio dell’ascolto e della testimonianza o la disperazione della paura e dell’attacco. La posta in gioco è la vitalità non della Chiesa ma della stessa fede cristiana.
don Carlo Cattaneo