«Nel Vangelo che è stato proclamato sono risuonate parole che ci portano al cuore del supremo messaggio-testamento di Gesù, consegnato ai suoi Apostoli nella sera della Cena di Addio nel Cenacolo: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato”».
L’omelia del cardinale Giovanni Battista Re, decano del collegio cardinalizio, nel corso della messa “Pro eligendo romano pontifice” parte dal comandamento dell’amore, «che Gesù definisce “nuovo”. Nuovo perché trasforma in positivo e amplia grandemente l’ammonimento dell’Antico Testamento, che diceva: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”». Rispetto a questa prima enunciazione, c’è un salto di qualità:
L’amore, che Gesù rivela, non conosce limiti e deve caratterizzare i pensieri e l’azione di tutti i suoi discepoli, i quali nel loro comportamento devono sempre mostrare un amore autentico e impegnarsi per la costruzione di una nuova civiltà, quella che Paolo VI chiamò “civiltà dell’amore”. L’amore è la sola forza capace di cambiare il mondo.
Un appello che il card. Re ha rivolto ai suoi colleghi elettori nella funzione che precede l’inizio del conclave, uno degli ultimi atti prima del celebre “Extra omnes” che chiude l’elezione del pontefice agli occhi del mondo e la apre a quelli dello Spirito Santo. E il decano ha anche fornito una traccia su come liberare la forza dell’amore nella scelta del nuovo successore di Pietro, fra i cui compiti «vi è quello di far crescere la comunione: comunione di tutti i cristiani con Cristo; comunione dei Vescovi col Papa; comunione dei Vescovi fra di loro. Non una comunione autoreferenziale, ma tutta tesa alla comunione fra le persone, i popoli e le culture, avendo a cuore che la Chiesa sia sempre “casa e scuola di comunione”». Nondimeno occorre anche ricordare che comunione non vuol dire omologazione, perché «unità che non significa uniformità, ma salda e profonda comunione nelle diversità, purché si rimanga nella piena fedeltà al Vangelo».
Una “comunione nelle diversità” che è tanto più necessaria nel mondo della «terza guerra mondiale a pezzetti», che non sa più trovare un’unità di intenti (si pensi alla crisi di tutti gli organismi internazionali, dall’Onu alla Corte penale) né tanto meno di “amore” (la lotta per il dominio economico e le decine di guerre). Un mondo che ha bisogno di un papa e di un cristianesimo coraggiosi, che gli ricordino quanto estesa (e imperativa) è l’esortazione all’amore di Gesù: «Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male» (Lc 6, 27-28). E ancora «se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta?» (Lc 6, 32).
Giuseppe Del Signore