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La speranza come proposta di impegno civico e di cammino cristiano. Papa Francesco e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella hanno indicato questa direzione, il primo aprendo il Giubileo e il secondo inaugurando il 2025 nel discorso di “fine anno”, che in realtà dovrebbe essere letto più come di “inizio”, ed entrambi hanno chiesto un’adesione attiva a questo «dovere civico» (parafrasando lo “esercizio” del voto dell’art. 48 della Costituzione. «La speranza che nasce in questa notte – ha affermato nella messa della vigilia di Natale il pontefice – non tollera l’indolenza del sedentario e la pigrizia di chi si è sistemato nelle proprie comodità […]; la speranza non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso; la speranza è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri». All’omelia del santo padre ha fatto esplicito riferimento il presidente Mattarella pochi giorni dopo:
La notte di Natale Papa Francesco ha aperto il Giubileo, facendo risuonare nel mondo il richiamo alla speranza. Quelle di questa sera sono ore di speranza nel futuro, nell’anno che viene. Tocca a noi saperla tradurre in realtà.
PARTECIPAZIONE Per i credenti l’impegno dell’annuncio è ineludibile, occorre imparare «dall’esempio dei pastori», i quali «andarono, senza indugio» (Lc 2,16). «Questa è l’indicazione per ritrovare la speranza perduta – ha spiegato il santo padre – rinnovarla dentro di noi, seminarla nelle desolazioni del nostro tempo e del nostro mondo: senza indugio. E ci sono tante desolazioni in questo tempo!». Desolazioni da non dimenticare, tanto da spingere Francesco a ricordare le parole del testo “La novena di Natale” di don Alessandro Pronzato: «A Natale vorrei ritrovarmi insoddisfatto. Contento, ma anche insoddisfatto. Contento per quello che fai Tu, insoddisfatto per le mie mancate risposte». Un’irrequietezza esistenziale che inviata a camminare «perché – ha argomentato il Papa – la speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente, non è l’happy end di un film: è la promessa del Signore da accogliere qui, ora, in questa terra che soffre e che geme. Essa ci chiede perciò di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia». Tutt’altro «la speranza cristiana, mentre ci invita alla paziente attesa del Regno che germoglia e cresce, esige da noi l’audacia di anticipare oggi questa promessa, attraverso la nostra responsabilità, e non solo, anche attraverso la nostra compassione». Non corrisponde alle speranze “umane”, che albergano nel cuore di ogni individuo, è una delle tre virtù teologali, le quali «si riferiscono direttamente a Dio» e «rendono le facoltà dell’uomo idonee alla partecipazione alla natura divina» (Catechismo 1812); la speranza cristiana supera l’azione umana di sperare perché «fonda, anima e caratterizza l’agire morale del cristiano» (C.1813).

SOCIETÀ Un agire che si colloca in un momento storico e in un contesto socio-economico macro (il mondo) e micro (la realtà quotidiana che ciascuno vive) e che diventa appunto un “dovere civico”. Nelle parole del Capo dello Stato «siamo chiamati a consolidare e sviluppare le ragioni poste dalla Costituzione alla base della comunità nazionale. È un’impresa che si trasmette da una generazione all’altra. Perché la speranza non può tradursi soltanto in attesa inoperosa. La speranza siamo noi. Il nostro impegno. La nostra libertà. Le nostre scelte». È attraverso queste ultime che «nella quotidiana esperienza di tanti nostri concittadini» si manifesta il “patriottismo”, «un sentimento vivo, sempre attuale, dell’idea di Patria». Per Mattarella «patriottismo è quello dei medici dei pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose. Quello dei nostri insegnanti che si dedicano con passione alla formazione dei giovani. Di chi fa impresa con responsabilità sociale e attenzione alla sicurezza. Di chi lavora con professionalità e coscienza. Di chi studia e si prepara alle responsabilità che avrà presto. Di chi si impegna nel volontariato. Degli anziani che assicurano sostegno alle loro famiglie. È patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità». Secondo il presidente c’è bisogno che ogni cittadino interpreti questo sentimento agendo e «rifuggendo da egoismo, rassegnazione o indifferenza», a maggior ragione nel 2025, che non sarà solo anno giubilare, ma anche ottantesimo anniversario della Liberazione che per l’Italia pose fine alla seconda guerra mondiale e al ventennio fascista, un evento storico che «è fondamento della Repubblica e presupposto della Costituzione, che hanno consentito all’Italia di riallacciare i fili della sua storia e della sua unità». Questa ricorrenza, nelle parole di Mattarella,
reca con sé il richiamo alla liberazione da tutto ciò che ostacola libertà, democrazia, dedizione all’Italia, dignità di ciascuno, lavoro, giustizia.
LUOGHI In questo modo i due discorsi si fanno programma politico nell’accezione di occuparsi del “bene comune”. Papa Francesco chiede che questo «diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù». E indica anche i posti in cui portare la speranza, «dove la vita è ferita», «nei sogni infranti», «nella stanchezza», «nella solitudine», «nella sofferenza», citando esplicitamente carcerati, poveri, «luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza». Ancora più esplicito il presidente Mattarella quando ricorda che «mai come adesso la pace grida la sua urgenza», «vi sono lunghe liste d’attesa per esami che, se tempestivi, possono salvare la vita», «resistono tuttavia aree di precarietà, di salari bassi», «stride il fenomeno dei giovani che vanno a lavorare all’estero» epifenomeno di un disagio che «abbiamo il dovere di ascoltare» dando «risposte concrete alle loro esigenze, alle loro aspirazioni», «continua il pericolo dell’abbandono delle aree interne», «le alluvioni non possono più essere considerate fatti straordinari», «il fenomeno della violenza» (di genere, «non vogliamo più dover parlare delle donne come vittime» ma «della loro energia, del loro lavoro, del loro essere protagoniste», e giovanile, «bullismo, risse, uso di armi»), «il rispetto della sicurezza di chi lavora» e «per chi si trova in carcere. L’alto numero di suicidi è indice di condizioni inammissibili». Sono tanti gli ambiti in cui si può svolgere il cammino cristiano e il dovere civico della speranza, L’Araldo tenterà di fare la sua parte di percorso e di responsabilità in questo anno giubilare, proseguendo nell’approfondimento di tutti questi temi da un lato per far emergere le criticità e le sofferenze del territorio di Vigevano e della Lomellina, dall’altro per far conoscere i punti di forza che pure ci sono e le possibili soluzioni che si potrebbero introdurre. Nel primo “Primo piano” del 2025 l’attenzione è su attrattività, disagio giovanile, anziani, sanità.
Giuseppe Del Signore