Non possiamo negare che il mese di novembre assume un tono tutto particolare all’interno del calendario. Non si tratta solo della sua collocazione di passaggio, tra un autunno straordinariamente mite e un inverno che comincia a farsi sentire. C’è qualcosa che tocca particolarmente il cuore delle persone, di solito non con sentimenti positivi, e porta lentamente a desiderare che il 30 arrivi presto. Forse è una sensazione che riguarda gli animi più sensibili, ma la Commemorazione dei fedeli defunti, posta all’inizio del mese, conferisce questo tono melanconico e di tristezza ai giorni che la seguono. Perfino la festa di Tutti i santi, che immediatamente la precede, sembra offuscare un po’ della sua luce dinanzi ad essa. Eppure ci sarebbe da chiedersi il perché. Il velo di grigiore che accompagna questa memoria liturgica, in senso tecnico una tra le tante da celebrare senza particolare solennità, nasconde infatti una straordinaria opportunità di mettersi a lezione da una maestra d’eccezione, che ha molto da dire soprattutto a noi oggi: la morte.
Gela il sangue e toglie quasi il respiro il solo nominare questa parola. Sì perché nella cultura contemporanea di tutto si è fatto pur di rendere muta questa realtà. Trasformata in qualcosa di ridicolo, ridotta a un pietoso teatrino che maschera un’atavica paura dell’ignoto o presentata come un macigno opprimente che piomba addosso all’uomo senza senso e senza via di uscita (come troppo spesso si vede nelle celebrazioni esequiali) è di fatto qualcosa che non ha più nulla da dirci. Non sappiamo più imparare la lezione della morte. Anche se ormai ci arriva in casa, sullo schermo della televisione o dello smartphone, non sappiamo ascoltare e ci pare non abbia nulla da dirci. Tragico errore che priva della possibilità di sollevarsi, di fare un passo avanti nella nostra umanità, per scoprire, come al di là un muro alto, ciò che è dietro la morte si nasconde la possibilità di essere uomini e donne nuovi.
Solo facendo esperienza del limite, proprio nella sua forma più estrema e definitiva, infatti diventa possibile valorizzare ciò che si possiede e, proprio perché realtà destinata a finire, ad usare bene ciò che non sarà disponibile per sempre. Certo fa male vedere infranto il delirio di onnipotenza che porta a pensare se stessi come metro e misura di tutto, ma quanto guadagno nel realizzare che i momenti vissuti sono dono e non pretesa soddisfatta con le proprie forze. E quando si arriva a questo, è pronto il passaggio successivo, quello che solo la fede può far fare, per mostrare il vero volto che si che si nasconde sotto la maschera della morte: la speranza. Non è roba da preti, tema da omelie. È realtà di fatto. E ne facciamo esperienza tutti quando generiamo la vita, quando come genitori, come sposi, come consacrati diamo inizio ad una realtà nuova, frutto di fatica e di amore e desideriamo non finisca mai. Questo stesso sogno la morte scrive sulla sulla lavagna della nostra storia personale ogni volta che glielo permettiamo. Ed è il sogno di Dio.
Dcc