C’è una pagina della Scrittura forse poco conosciuta che racconta di una fanciulla del popolo di Israele, orfana di entrambi i genitori, che finisce tra le favorite del re. La sua bellezza è tale da affascinare così tanto il sovrano da spingerlo a farla regina. La sua ascesa a questo alto rango coincide con una fase delicatissima e terribile per il suo popolo, in balia dell’oppressore e ingiustamente condannato allo sterminio. Consapevole del suo ruolo e della possibilità che il Signore l’abbia messa in quella condizione proprio per salvare Israele, decide di implorare la misericordia del re per i suoi, si prepara con la penitenza (chiede alle proprie ancelle e ai connazionali di fare altrettanto) e compare davanti al trono, ottenendo successo nella propria impresa. Il coraggio dell’intercessione, sostenuto dal digiuno allontana la morte e ottiene salvezza.
Ripensavo a Ester e alla sua storia proprio in questi giorni, mentre alla televisione passavano le immagini di quella che potrebbe essere (o forse lo è già ) il preludio di una sanguinosa escalation dalle conseguenze imprevedibili. Il rischio dell’annientamento di un popolo, l’ingiustizia di una violenza che si abbatte colpendo chi è innocente, l’irrazionalità di decisioni e scelte che sembrano non considerare fino in fondo la gravità delle conseguenze richiama molto, anche se su una scala esponenzialmente più vasta, il racconto della Scrittura. Dentro l’impotenza di chi deve subire risoluzioni che diventano vere e proprie sentenze di morte ci ritroviamo tutti, anche noi più lontani e apparentemente meno colpiti dal rinnovato fiume di violenza.
E allora acquista una carica straordinariamente profetica, proprio sullo sfondo di questa storia sapienziale, l’invito di papa Francesco a rispondere a questo fiume di male con la penitenza e la preghiera.
L’atteggiamento di fondo infatti è lo stesso della coraggiosa regina e ne richiama gli elementi essenziali. Prima di tutto la consapevolezza di una storia che non è scritta dai potenti, ma dagli umili. Non si nota e sembra una favola, ma il tessuto della realtà è intrecciato delle vite dei semplici che, lungi dall’essere soltanto vittime, danno alla storia il proprio colore e la propria consistenza. Il sano realismo di chi riconosce questo è in fondo la ragione che dà senso ai due strumenti richiamati dal Papa. Digiunare per riconoscere di essere fili dentro a una trama sapientemente ordita da Dio, nonostante le smagliature della prepotenza umana; pregare per riprendere consapevolezza del disegno complessivo ed attendere dal tessitore la riparazione dei danni provocati da una mano frettolosa ed inesperta. Lungi dall’essere una lettura fatalistica degli eventi, la visione del cristiano apre prospettive di speranza e chiama ciascuno a fare la propria parte, a sentirsi corresponsabile degli equilibri che vanno aldilà della politica e delle strategie. Come Ester ciascuno allora può chiedersi: per cosa Dio mi ha messo nel mondo? E ancora: quale custodia devo esercitare nei confronti dei fratelli? Preghiera e digiuno, dunque, come assunzione di responsabilità e presa di coscienza del proprio ruolo. A questo ci chiama il Papa. A questo, al di là della violenza e della guerra, è affidata la riuscita del progetto meraviglioso del Padre.
don Carlo Cattaneo