Osservatorio 13-13 / Notre-Dame, nel segno della storia

Sabato e domenica Notre-Dame è stata il centro non solo di Parigi, ma anche del mondo. Di nuovo come il 15 aprile del 2019, quando divampò l’incendio che la incenerì per la quasi totalità; le fiamme arsero in mondovisione da poco dopo le sei del pomeriggio fino alle quattro del mattino seguente, mentre la scorsa settimana a bruciare è stato solo l’incenso mentre monsignor Laurent Ulrich, arcivescovo di Parigi, accoglieva i fedeli nella cattedrale ricostruita.

Fedeli, 170 vescovi di varie nazionalità, altri sacerdoti e pastori di Chiese cattoliche di rito orientale, ma anche capi di Stato da tutta Europa e da varie parti del mondo: accanto a Macron, Trump (seppure ancora in pectore), il presidente Mattarella, Meloni, il principe William, i reali di Spagna, Zelensky e altri ancora. Al «cantiere del secolo» hanno lavorato circa 2mila tra artigiani, operai, architetti e ingegneri, per un’opera che è stata finanziata con 846 milioni di euro raccolti grazie a 340mila donatori; grandi nomi, certo, ma soprattutto piccoli privati per permettere a mons. Ulrich di affermare che

questa mattina, la pena del 15 aprile 2019 è stata cancellata. A fronte di tutto questo viene da chiedersi: perché?

Cosa ha alimentato un movimento di persone, risorse, attenzione mediatica che si è dimostrato più forte del fuoco? È in parte la stessa spinta che ha portato a posare la prima pietra di Notre-Dame nel 1163 e che nel 1831 ha portato Victor Hugo a dedicarle la sua opera più capace di attraversare il tempo e i media, “Notre-Dame de Paris” appunto da cui sono stati tratti cartoni animati e musical, allo scopo di riportare l’attenzione su quella che, anche nel XIX secolo, era una cattedrale distrutta. Bruciata non dalle fiamme di un incendio, ma dalla furia della rivoluzione francese: dissacrata nel 1793, adibita al culto della dea ragione, usata come deposito di vino, saccheggiata e deturpata, ripristinata come luogo di culto nel 1795 e poi teatro dell’incoronazione di Napoleone nel 1804, versava in condizioni pessime, al punto che si propose anche di abbatterla. Invece fu restaurata a opera di Viollet-le-Duc, che decise di renderla gotica all’ennesima potenza (anche più di quanto non fosse in origine), come ricorda la guglia da lui realizzata nel 1844, poi bruciata nel 2019 e ricostruita identica.

È in parte la stessa spinta che richiamava e richiama di nuovo oggi all’Ile de la Cité, nel cuore di Parigi, milioni di turisti ogni anno, così come li richiama in San Pietro a Roma, in Duomo a Milano, in Santa Maria del Fiore a Firenze, a San Marco a Venezia, alla Sagrada Familia a Barcellona, a Saint Paul a Londra, a San Basilio a Mosca (quando ancora era accessibile meta di turismo), Santa Sofia a Istanbul (oggi moschea, un tempo cattedrale bizantina). E vale anche per tutti i campanili (e i minareti) e le cupole senza nome, una delle prime cose che si cercano quando si visitano un borgo o una metropoli. Quale spinta?

notre dame
Notre Dame

Per alcuni religiosa, non c’è dubbio, ma per tutti culturale. Notre-Dame è cultura, è una parte importante della cultura “occidentale”, così come ogni chiesa e una percentuale molto ampia delle arti (letteratura, pittura, scultura, architettura, musica, danza, teatro, più di recente cinema e fotografia) che ha un’ispirazione o soggetti religiosi. Lo stupore per Notre-Dame ritrovata dovrebbe accompagnarsi alla consapevolezza di questo retaggio culturale che invece troppe volte è negato in Europa, in Italia, in quello che è definito “occidente” e in questo senso, provocatoriamente, si potrebbe dire che la prima scintilla dell’incendio alla cattedrale scaturì dal rifiuto dell’Ue di riconoscere le radici cristiane dell’Europa nella “Costituzione” del 2004. Non le uniche radici, ma innegabili da chiunque abbia la voglia di passeggiare per una qualunque città europea. Non solo religiose (per i credenti), ma appunto culturali. Intrise anche di sangue e di errori? Sì, come ogni prodotto dell’umanità. Anche la rivoluzione francese deturpò Notre-Dame e negli stessi mesi fece di peggio: ancora una volta basta camminare, se dal sagrato ci si sposta di tre chilometri verso il Louvre, all’inizio degli Champs-Elysées ci si imbatte in “Place de la Concorde”. Un bel nome per quella che era la piazza della ghigliottina, il luogo dove morirono più di 2500 persone durante il “Terrore”. Occorre negare anche le radici della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” (che per inciso escludeva le donne e divise l’Assemblea sulla schiavitù)?

Lo stesso si potrebbe facilmente dimostrare per l’identità romana o greca o celtica o barbara o slava o ottomana o araba o mongola (tutte presenti con ruoli differenti, da Poitiers a Vienna, da Atene a Costantinopoli, passando per la Crimea).

Se ci fosse maggiore consapevolezza di quelle cristiane e di tutte le radici, forse come persone ci si scoprirebbe meno spaventate nel confronto con l’altro (si veda il rapporto Censis presentato la scorsa settimana) e come classe dirigente continentale un po’ meno smarrita nell’affrontare l’instabilità che è la cifra caratteristica di questo primo scorcio di XXI secolo. Conoscerle non vuol dire tralasciarne gli aspetti negativi o tragici, ma neppure quelli positivi e luminosi, appunto significa esserne consapevoli. È questa consapevolezza che consente di sapere sia da dove si viene sia che si è diversi: sentirsi responsabili del passato non è né un’eterna espiazione né un’eterna glorificazione (l’Italia non è la Res Publica Romana). Allo stesso tempo la coscienza della diversità (diacronica, nel tempo, e sincronica, rispetto alle altre culture) è passo preliminare al dialogo sereno e razionale con le epoche e con gli altri. L’irrazionale furia giacobina (oggi “woke”), che l’altroieri fece di Notre-Dame un magazzino e oggi magari vorrebbe disfarsi del minaccioso presepe, è come un incendio che divampa e può bruciare tutto. Ma Notre-Dame è un simbolo che arriva in soccorso anche in questo: passata la furia si può ricostruire.

Giuseppe Del Signore

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