Tablet acceso, video musicale in corso di riproduzione e poi, improvvisa e molesta, l’immancabile interruzione pubblicitaria, annunciata dall’inquietante indicazione “ 1 di 3”, per preparare l’impaziente spettatore ad un’attesa popolata di spot più o meno frivoli, fino all’agognato “salta l’annuncio” che, come una liberazione, permetta di tornare a quella “pausa relax” ricercata dall’inizio.
Ed è in questo lasso di tempo quasi catartico che, tra nuovi guru e prospettive di rapido guadagno si fa strada, accusatoria e quasi inquietante, la domanda: “hai mangiato?”, seguita dall’ancor più inquisitoria “stai mangiando?”. A proporla non è una spregiudicata azienda di promozione di programmi dimagranti che, emula delle “politically incorrect” gesta di Wanna Marchi e soci, punta a colpire lo spettatore per attirarne l’attenzione, ma una nota organizzazione umanitaria (di cui si tacerà il nome) preoccupata di smuovere il borghese utente medio dei social dal suo sonno digitale e richiamarlo al suo giusto dovere di cittadino e di essere umano attento ai bisogni degli ultimi. Nulla da dire, il messaggio sicuramente funziona e raggiunge l’obiettivo (quantomeno di suscitare una reazione positiva o negativa),
ma offre anche lo spunto per riflettere su un metodo di comunicazione sempre più fondato sugli “scossoni emotivi” che mira a colpire più la “pancia” del cervello.
Sembra, infatti, che, sempre più il gioco di far leva sugli istinti basi dell’uomo, diventi una tentazione, seducente ed efficace, capace di orientare le scelte strategiche degli addetti ai lavori. Uno stile che dal campo della pubblicità si è esteso a tutti gli ambiti dell’informazione, diventando il criterio primario non solo per la trattazione dei temi (da quelli di cronaca a quelli di costume), ma anche per dettarne la scaletta nel palinsesto televisivo o giornalistico.
Se, infatti la formula del talk-show in cui si parla di tutto e di niente, tra opinionisti reali o improvvisati, già giocava abbondantemente sulla dimensione emozionale, appare sempre più evidente come anche i programmi di cosiddetto “approfondimento giornalistico” e addirittura format a scopo prettamente informativo, attingano a piene mani da quella insondabile miniera che sono le sensazioni umane. Non si tratta tanto di riprodurre il classico “pianto in diretta” che fa sempre effetto, anche se oggi ha perso un po’ del suo smalto originario, diventando quasi obsoleto, ma di costruire la comunicazione o la riflessione di una notizia o di un caso completamente sul gioco delle reazioni opposte, suscitate nell’animo dello spettatore. E questo fino al punto di alterare gli argomenti o addirittura azzerarli a beneficio di uno “show di buoni sentimenti” che poco si preoccupa della verità e della realtà. Dietro a tale panorama si cela non solo il cinico motore del profitto, ma quello ancor più inquietante della manipolazione fondata sulla sottostima destinatari, considerati non tanto come persone dotate di ragione, ma come fasci di emozioni da stimolare a seconda delle necessità e delle opportunità. Troppo spesso l’esito conferma, occorre dirlo tristemente, questa degradante visione. Rimane da chiedersi se si possa stare tranquilli di fronte ad un panorama simile ,in un contesto dove il bombardamento di informazioni ci raggiunge dovunque. Complottismi e manipolazioni trovano terreno fertile dentro a questo sistema. Sono domande senza risposta, che però non possiamo evitare di farci mentre, superata la lunga attesa, riprendiamo ad ascoltare la musica guardando però il nostro frigo pieno con un po’ più di senso di colpa.
don Carlo Cattaneo