L’immagine del deserto è una delle più evocative del tempo quaresimale, simbolo di purificazione e preghiera, un cammino verso la conversione personale e comunitaria. La Quaresima invita a realizzare ciò che la Pasqua rappresenta per ogni cristiano: una novità capace di segnare profondamente il percorso di vita. Un canto, riprendendo le parole dei profeti, recita:
Ecco, io faccio una cosa nuova. Non ve ne accorgete?
È forse proprio questa dimensione di sorpresa, maturata nel nascondimento, a esprimere meglio il senso autentico dei quaranta giorni appena iniziati. Al di là delle espressioni che, soprattutto in passato, accentuavano la penitenza e la mortificazione fisica come fulcro della spiritualità quaresimale, e al di là di ogni spiritualismo che rischia di contrapporre l’attenzione al quotidiano all’ascesi verso le cose di Dio, la vera sfida è riconoscere l’azione misteriosa di Dio nella concretezza dei nostri giorni. Un Dio al quale dobbiamo esporci senza remore né resistenze, affinché possa operare quelle cose nuove che ha pensato e desiderato per la nostra vita. La vera penitenza, allora, non consiste tanto nella mortificazione del corpo quanto in una disciplina più sottile e forse più necessaria oggi: l’ascolto. In un’epoca di comunicazione pervasiva e invasiva, la conversione alla sinodalità – portata, come spesso accade nelle vicende ecclesiali, fino agli eccessi – potrebbe passare proprio attraverso un esercizio di silenzio. Rinunciare a un eccesso di parole per restituire valore alla Parola diventa il segno profetico di questo tempo forte. Non si tratta solo di spegnere il frastuono in cui siamo immersi, né di riferirsi esclusivamente alla Sacra Scrittura. La parola da riscoprire è, prima di tutto, quella della relazione umana, oggi svuotata di senso e abusata. Digiunare dalla fame di parole significa sottrarsi al bisogno compulsivo di discutere su tutto, di esprimere sempre e comunque la propria opinione, di rincorrere notizie, aggiornamenti e pettegolezzi che alimentano una curiosità ormai insaziabile. Forse è proprio questa la provocazione che la Quaresima ci lancia.
Un invito di straordinaria attualità , come dimostra il caso emblematico della malattia di Papa Francesco. La frenesia comunicativa ha prodotto una ridondanza di bollettini sempre uguali, un flusso ininterrotto di aggiornamenti che i media, dai grandi quotidiani ai blog di ogni orientamento, non riescono a contenere. Sembra di assistere a una comunicazione che ha perso la sua funzione più vera, schiava della necessità di dire qualcosa a ogni costo. Eppure, in questo vortice, il silenzio scelto dal Papa – il suo nascondimento per ventiquattro giorni – appare come un gesto eloquente. Forse consapevolmente, forse no, ha indicato una strada diversa, incarnando ciò che lui stesso ha chiesto a tutti per questa Quaresima: ascoltare per saper attendere, per riconoscere ciò che ha valore e farne nutrimento della vita. Solo così ci si può disporre ad accogliere la Parola con la P maiuscola, evitando che venga inghiottita dalla marea di chiacchiere che riempiono le nostre orecchie.
don Carlo Cattaneo