Osservatorio 18-10 / Le “voci” del Nobel

«Coloro che non si suicidarono nonostante avessero tutte le ragioni per farlo». Questa la definizione di hibakusha data da uno di loro ovvero i sopravvissuti all’esplosione delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Dalla testimonianza degli hibakusha nel 1956 è nata la Confederazione giapponese delle organizzazioni dei sopravvissuti della bomba atomica e della bomba H (Nihon Hidankyo), che venerdì scorso è stata insignita del premio Nobel per la pace per «i suoi sforzi verso un mondo senza armi nucleari e per aver dimostrato, con le proprie testimonianze, che le armi nucleari non devono mai più essere usate».

Che senso ha premiare un’associazione nata per reazione all’episodio più violento della seconda guerra mondiale, distante ormai ottant’anni? “Little boy” e “Fat Man”, due nomi che ispirano bonomia, causarono circa 210mila vittime nell’immediato e più di mezzo milione di morti se si considerano gli effetti a medio e lungo termine, quasi tutti civili, come in molti dei bombardamenti nel corso del conflitto; il presidente della Repubblica Sergio Mattarella questa settimana ha ricordato «una tragedia insensata, inimmaginabile, immane», quella di Gorla a Milano del 20 ottobre 1944, in cui morirono 184 bambini perché un ufficiale statunitense, dopo un attacco mancato alla Breda, decise di scaricare le bombe innescate sull’abitato anziché in aperta campagna o in mare. Ma oggi a dare testimonianza di quelle due mattine di agosto e a tutte le altre stragi restano pochi sopravvissuti, così come sempre meno sono quelli che possono farlo per i campi di concentramento:

Noi testimoni della Shoah stiamo morendo tutti – ha dichiarato in diverse occasioni la senatrice a vita Liliana Segre – ormai siamo rimasti pochissimi, le dita di una mano, e quando saremo morti proprio tutti, il mare si chiuderà completamente sopra di noi nell’indifferenza e nella dimenticanza.

Questo premio Nobel è stato assegnato contro la dimenticanza della storia.
Non avrebbe avuto più senso scegliere un’organizzazione impegnata nei conflitti, nel fermare il dolore di chi soffre oggi? Qualcuno ipotizzava l’Unrwa – l’Agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi – ma la scelta di Oslo (quello per la pace è l’unico Nobel non assegnato) è stata di sottrarre il premio alla polemica di parte per mantenerne il valore di messaggio universale. Non per scappare al confronto con l’oggi, al contrario per collegare il dolore nel tempo, come ha fatto il direttore della Confederazione nella conferenza stampa successiva al premio: «Si è detto che a causa delle armi nucleari, il mondo mantiene la pace. Ma le armi nucleari possono essere usate dai terroristi […] Ad esempio, se la Russia le usasse contro l’Ucraina, Israele contro Gaza, non finirebbe lì. I politici dovrebbero sapere queste cose. […] La situazione di Gaza è come il Giappone di 80 anni fa».

Dalla seconda guerra mondiale e dalle atomiche il Giappone e gli Stati Uniti uscirono costruendo nel tempo un rapporto di “amicizia” che oggi appare impensabile in Terra santa, in Europa o nelle decine di guerre dimenticate, ma se i testimoni stanno scomparendo e il tempo favorisce la dimenticanza aumentando la distanza, ci sono tracce indirette che restano. Da questo punto di vista sono interessanti proprio le parabole statunitense e giapponese, finora l’unico paese al mondo che ha effettivamente fatto esplodere delle atomiche su delle città e l’unico ad averne subito le conseguenze: la cinematografia (Marvel, Godzilla solo per citare esempi non esaustivi), la letteratura (La Strada, molti manga), la cultura in generale sono stati segnati dal fungo atomico e dal terrore che ha evocato per generazioni. Le atomiche sono deflagrate non solo su due città giapponesi, ma anche nell’immaginario di due popoli e, a cascata, dell’umanità intera.

Le matrici culturali perdurano più a lungo della memoria umana. Ed è a questa, in parte inconsapevole, che sembrano far riferimento tutti i premi di quest’anno: quello della letteratura ad Han Kang che «affronta le ferite della Storia», quello dell’economia a Acemoglu – Johnson – Robinson per gli studi su come le istituzioni contribuiscono alla prosperità e a ridurre la disuguaglianza economica, quello della chimica a Baker – Hassabis – Jumper che con i loro studi hanno aperto la strada alla creazione di nuove proteine (per curare malattie e produrre nuovi farmaci), quello della fisica a Hopfield – Hinton per il “machine learning” e l’apprendimento tramite reti neurali artificiali che hanno aperto all’AI, quello della medicina a Ambros – Ruvkun, che con i loro studi sullo mRna hanno aperto ai vaccini che hanno consentito al mondo di superare la pandemia da Covid-19 e in futuro potrebbero permettere di curare i tumori. C’è una maggioranza pacifica – non silenziosa, ma pacata – che per la sua natura non violenta è schiacciata dalla prepotente voce della guerra, ma la sua voce è altrettanto forte e indica una strada alternativa. Quella percorsa da «coloro che non si suicidarono nonostante avessero tutte le ragioni per farlo».

Giuseppe Del Signore

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