Osservatorio / 2-08 No alla sindrome del “mea culpa”

C’è una malattia terribile che ha colpito con una virulenza straordinaria i cristiani del III millennio. Non parlo dell’abbandono di quanti all’interno delle Comunità già stavano titubanti sulla soglia per allontanarsi da un sistema religioso ritenuto superato o comunque non più al passo coi tempi. Mi riferisco a una patologia che tocca quei “cristiani maturi”, formati da una teologia che ha fatto del dialogo con il mondo un idolo sul cui altare sacrificare qualsiasi altra dimensione e che tende, con una manovra disonesta sia intellettualmente sia moralmente, a creare degli “estremi”, secondo una logica del “con noi evangelico, contro di noi fariseo” così lontana dalla “parresia” raccomandata dal Maestro. Si potrebbe definirla “sindrome del mea culpa”, una pandemia virulenta che non risparmia scrittori, intellettuali e perfino consacrati di quella sempre più feconda genia di “cristiani generazione X” dalle radici ancora più oscure ed inquietanti. I sintomi sono molto evidenti e si ripetono anche in presenza di contesti diversi: vergogna per una storia della Chiesa avvertita come sostanzialmente negativa e opprimente, senso di colpa nei confronti del mondo e perenne soggezione nel rapportarsi con le istanze della moderna società (davanti alla quale ci si sente sempre inferiori e in qualche modo mancanti) e soprattutto un pruriginoso e urticante bisogno di “chiedere scusa” per una mancata conversione, anche se non è ben mai specificato a che cosa. Basta guardare l’esempio dei recenti giochi olimpici, con la tanto chiacchierata cerimonia di apertura, al centro della quale, almeno così nella risonanza che ne hanno dato i media, c’era la contestata “piece” ispirata all’Ultima Cena. I vescovi francesi hanno dato voce al dissenso e all’orgoglio ferito di tanti cattolici, colpiti in qualcosa che fa parte integrante della propria identità confessionale. E proprio di fronte a questo ecco emergere il virus in tutta la sua forza. Le giustificazioni degli organizzatori e le ricerche di qualche esperto d’arte hanno saputo offrire una lettura forse più corretta di quello che tutti hanno subito letto come uno spettacolo blasfemo. Non si è comunque fatto attendere il mantra che da religiosi e opinionisti è risuonato più volte:

“ se siamo attaccati e derisi non è perché non siamo più credenti ma perché non siamo più credibili”.

Ecco qui. La malattia è esplosa e rischia di diventare contagiosa al punto di far passare l’idea che l’incoerenza di qualcuno possa giustificare atteggiamenti ostili e irrispettosi che feriscono la dignità del colpevole. È lo stesso principio per cui, nelle chiacchiere da bar, si accusano le donne che subiscono violenza di aver causato l’aggressione nei loro confronti o si giustificano gli episodi di razzismo con i fenomeni criminali perpetrati da quelli che si etichettano come “stranieri”. Si, la sindrome del “mea culpa” è solo l’altra faccia di quel relativismo che l’allora Cardinal Ratzinger pronosticava (alle soglie della sua elezione) avrebbe colpito la Chiesa di lì a qualche tempo. A noi l’impegno di trovare presto una cura per non ridurci ad una Chiesa che da “ospedale da campo” diventi “cimitero di guerra”.

don Carlo Cattaneo

Le ultime

Viaggio in Parrocchia / Immacolata: un santuario connesso alle opere sociali 

L'origine della chiesa-santuario della Beata Vergine Immacolata è strettamente...

Vigevano, incuria allo scalo ferroviario

La stazione di Vigevano, una “porta” verso la metropoli...

Ius Scholae / Cittadinanza: serve una revisione delle norme

L’inclusione e il futuro di tanti ragazzi appesi al...

Irlanda, viaggio tra cristianità e natura

Un viaggio in Irlanda alla ricerca delle radici cristiane,...

Login

spot_img