Le immagini di papa Francesco che, nonostante l’età e la situazione di salute, attraversa il mondo per raggiungere quei cattolici, spesso minoranze dimenticate o comunque ridotte a scarsa consistenza umanamente parlando, fanno nell’immediato bene al cuore. Trasmettono l’idea di una Chiesa viva, capace di superare le secche del materialismo e del relativismo nelle quali sembra essersi incagliata almeno in Occidente, per confermare invece quella profezia evangelica di Cristo che, proprio all’apostolo Pietro, assicura:
Le porte degli inferi non prevarranno su di essa.
A uno stile così ci avevano già abituati, in realtà, i suoi predecessori. È da Paolo VI in poi che i Pontefici (favoriti da contingenza storiche prima impensabili) hanno vissuto concretamente quello “andare in tutto il mondo” raccontato già negli Atti degli apostoli. Tuttavia ogni volta è sempre una novità che genera entusiasmo. Non si tratta tanto delle parole che sono preferite in questa occasione (alcune volte anzi esse sono causa di turbamento, di dubbio, di contestazione) ma sono i gesti a parlare. Le persone che attraversano chilometri per vivere l’Eucaristia insieme al Papa, l’incontro con i capi di Stato e con i rappresentanti di altre confessioni religiose e poi ancora gli immancabili fuori programma che sempre segnano questi avvenimenti.
Sono immagini, istantanee di una vitalità della fede che di fatto riflette ciò che la Chiesa vive poi nella quotidianità, lontano dai riflettori.
È, in fondo, l’espressione di quella cattolicità (dal significato di “universalità”) che non bisognerebbe mai perdere di vista. Aldilà della situazione concreta infatti questo incontrare le comunità cristiane sparse nel mondo aiuta anche una realtà come quella italiana, come quella della nostra Chiesa locale, a percepirsi inserita in un movimento più ampio che supera i campanilismi e l’attenzione alle piccole “beghe da sacrestia”. Per i preti, per i fedeli, per i religiosi e le religiose è davvero una boccata d’aria aprire lo sguardo su fratelli e sorelle che hanno saputo trasformare contesti sfavorevoli in terreni fertili dove continua a germogliare la vita buona del Vangelo. Allora smettono di far paura i numeri e si cessa di valutare la qualità della vita cristiana sul numero delle risposte che essa ottiene.
Guardare fuori dalla finestra di casa aiuta a valorizzare quella centralità dell’Eucaristia come motore che catalizza la vita delle comunità e apre a relazioni fraterni autentiche, vere, anche con chi è più lontano. Nei grandi raduni in occasione dei viaggi papali al centro c’è solamente questo: un popolo di Dio che si raduna per fare nella messa esperienza viva di Cristo risorto. E da questo convenire insieme al Papa nascono storie, relazioni buone, conversioni che durano nel tempo. Dovrebbe essere così a ogni suono di campane anche per noi. Ed è forse questa la provocazione e la lezione più grande che l’andare di Francesco e di ogni suo predecessore ci invita ad accogliere.
don Carlo Cattaneo