Fuori di sé. Fuori di testa. Con queste parole il Vangelo di domenica presentava un titolo straordinariamente insolito per definire Gesù Cristo, il maestro che ha attraversato la Palestina per annunciare la Parola di Salvezza, il Figlio di Dio, che ha dato la vita per liberare ogni uomo dalla morte e dal peccato.
Certo stupirebbe non poco trovarlo tra le litanie quello che suona quasi come un insulto o una mancanza di rispetto. Eppure varrebbe la pena ripeterselo più volte questo concetto che dice come un cristiano che vuole imitare il suo Signore, debba accettare in qualche modo di essere “fuori” da un sistema e da un modo di pensare divenuti “comune buonsenso”. Cristiani fuori dunque; fuori dagli schemi, fuori dalle forme, fuori dalla ritualità che ingabbia in ruoli predefiniti fino a naufragare nella palude del “politicamente corretto”. Non può non far pensare il fatto che il Messia abbia più volte ripetuto «avete inteso che vi fu detto… ma io vi dico», segno di una volontà evidente di andare oltre ciò che normalmente ci si attende dall’uomo religioso. E allora sta tutta qui la sfida lanciata al discepolo di oggi come di ieri: andare al di là del precetto o del dovere, per lasciarsi condurre la dove l’esigenza del Vangelo e della coscienza conducono. È questa la radice profonda e vera di ogni testimonianza. È da qui che parte ogni autentica carità ed è in questo terreno fertile che può germogliare il senso nuovo di una fede oggi.
Nel colloquio con i giovani soprattutto e emerge molte volte la fatica di comprendere il senso di un’adesione formale ad una confessione religiosa, come quella cristiana, identificata irrimediabilmente con quella istituzione, che è la Chiesa cattolica, sempre al centro di sospetti e di polemiche ora a destra ed ora a sinistra. Appare insensato, in un mondo di ideologie in crisi e di pensiero debole, Il fatto di vincolarsi a dogmi e riti, apparentemente incapaci di parlare ai bisogni dell’uomo contemporaneo.
Il paradosso della ricerca di strade meno strutturate e più legate a filosofie o pensieri antichi, che non richiedano però nessuna appartenenza “registrata”, non deve stupire se si pensa che ogni senso di appartenenza oggi sembra venire meno.
Da qui la necessità di riscoprire tutta la forza dirompente di un cristianesimo che non è religione, ma scelta di vita capace di diventare un’insopprimibile chiamata a prendere posizione dinanzi alla storia, vocazione ad agire per essere fedeli ad un Dio che si è sporcato le mani per amore dell’uomo e chiede altrettanto a chi desidera seguirlo con verità e coraggio. Una fede “fuori” appunto, aperta al mondo come frutto di un cuore realmente abitato dallo Spirito, capace di impastarsi con le vicende umane, senza perdere la propria identità, anzi rafforzandola nella consapevolezza del suo essere più di un’etichetta o una bandiera. Sembra pazzia o utopia, ma la sfida per la sopravvivenza del messaggio cristiano passa da qui, anche se questo richiede l’ardire di camminare su strade insicure, anche al di là di sentieri già battuti e predefiniti. Ancora una volta e perennemente “fuori”.
Don Carlo Cattaneo