È un invito a camminare senza stancarsi il messaggio proposto da papa Francesco per la Giornata mondiale della Gioventù che si celebrerà in tutte le diocesi domenica prossima, in concomitanza con la festa di Cristo re dell’universo e a conclusione dell’anno liturgico. Sicuramente il pensiero va al Giubileo ormai alle porte e quella fatica di sperare contro ogni speranza, in un tempo che tutto sembra proporre meno uno sguardo positivo sul futuro. Ma in quell’immagine del cammino proposta come incipit delle parole che il Santo Padre rivolge a quella fascia più delicata e al tempo stesso più preziosa e amata tra il popolo di Dio, c’è una provocazione rivolto un po’ a tutta la Chiesa.
Mettersi in viaggio contando unicamente sul vigore delle proprie forze e sulla resistenza dei propri piedi, è infatti metafora di quell’itinerario di fede che coinvolge ogni battezzato e non può esaurirsi in un anno, seppur speciale, lungo le strade che conducono alla città simbolo per tutti i cristiani. La fatica di affidarsi oggi completamente e pienamente a un Dio avvertito sempre più lontano, la sfida di seguire un Cristo che domanda tutto e propone parole scomode come “radicalità”, “perdono”, “conversione”, la profezia di vivere la comunione tra differenze spesso laceranti e inconciliabili, sono solo alcuni dei ciottoli che costellano il sentiero che porta alla “gioia grande” di quel tempo di Grazia che è la vita del credente.
La tentazione di ridurre tutto a un mero atto di devozione, o a uno stile di vita attraente o a una bella filosofia sulla quale discutere e ragionare è sempre dietro l’angolo. Ed è proprio qui che emerge un aspetto un po’ dimenticato di questa immagine così poetica, un co-protagonista silenzioso ma così necessario perché il viaggio raggiunga la sua meta.
In una strada sconosciuta, per un sentiero scosceso e alle volte oscuro si rischia di perdersi se non si ha una guida, e una guida adeguata. Mettersi in cammino allora significa accettare di lasciarsi condurre, accogliere come dono chi quella strada l’ha già percorsa, chi possiede gli strumenti per orientarsi, chi ha in mente la destinazione e sa come arrivarci. Proporre ai giovani, ma anche a ogni cristiano di vivere la fede come cammino e il giubileo come riscoperta di questa dimensione, significa domandarsi se, come Chiesa, disponiamo di guide adeguate e credibili alle quali affidare chi accetta la sfida di giocarsi la vita. Perché il rischio è quello di avere tanti programmi, di proporre tante mirabolanti iniziative, ma di non volere o di non essere in grado di fare la fatica di camminare passo a passo con chi ci ha preso sul serio, con chi ha deciso di scommettere su una proposta apparentemente perdente e fuori moda, ma che apre alla prospettiva della vita eterna. Guide capaci oppure nessun cammino. È forse questa la prima conversione il primo esame di coscienza che come comunità e come pastori dobbiamo farci prima di proporre ad altri di prendere lo zaino e partire.
don Carlo Cattaneo