Giornata del Seminario, tempo di bilancio, di sguardo al futuro e di inevitabili nostalgie. Cambia la data in cui la si celebra (dalla solennità di Cristo Re alla quarta domenica di settembre), ma cambia anche il contesto in cui viene proposta e, diciamolo, forse un po’ anche la sua ragion d’essere al punto che qualcuno, con sommesso e guardingo mugolio, si chiede se abbia ancora senso proporla. Il seminario è vuoto. La realtà è cruda, ma è questa. Le prospettive di giovani in cammino (uno per la Comunità vocazionale e un “giovanissimo” che si affaccia al primo discernimento) sono ridotte e apparentemente insufficienti di fronte al calo dei sacerdoti che ormai interessa da vicino anche il nostro territorio. Lo spettro di limitare l’evento ad una raccolta di fondi per mantenere una struttura non più utilizzata fa paura al punto da rischiare di esaurirla in qualche riga sul giornale e qualche manifesto appeso.
Di fronte a tutto questo le reazioni più disparate: da un lato il disfattismo di chi prospetta una fine imminente della Chiesa e della figura del prete, dall’altro lo spiritualismo esasperato di chi invita a moltiplicare le iniziative di preghiera perché il Signore non si dimentichi di mandarci preti… insomma nella confusione a prevalere è il più delle volte più il disincanto di ciò che non c’è rispetto al sogno di ciò che potrebbe nascere. Ecco forse qui, nel mezzo fra le due posizioni potrebbe invece collocarsi uno sguardo al futuro. Nel mezzo perché deve essere chiaro sia che la situazione è grave e se ria, sia che altrettanto lampante è il comando che Gesù dà nel Vangelo: «Pregate il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe». Bisogna pregare, certo, pregare ed essere consapevoli che dalla presenza dei ministri ordinati dipende l’annuncio della speranza al mondo. Ma non è possibile limitarsi a questo. Il calo delle vocazioni deve interrogare, mettere inquietudine, provocare sia le comunità sia i loro pastori. Al centro la qualità della vita concretizzata e proposta.
Non si tratta tanto di un giudizio morale quanto piuttosto di un’attrattiva che esercita quella sfida ad osare quella “umanità buona” che, prendendo sul serio l’avvincente messaggio di Cristo si traduce in realtà accoglienti e aperte e presbiteri contenti e capaci di relazione. Poiché Dio sempre si manifesta in una incarnazione, non ci può essere vocazione che non nasca da un terreno dove il Vangelo è vissuto e da incontri con persone che lo hanno preso sul serio. Lavorare per sostenere il seminario allora significa lavorare per rendere più credibili e vere le esperienze delle Comunità; significa essere preti contenti di stare «là dove la gente vive», innamorandosene ogni giorno di più. Ci serve allora una giornata per riascoltare nel silenzio questo richiamo, per far risuonare nell’assemblea domenicale quell’invito provocatorio del Maestro: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno». È la radice di ogni chiamata.
Dcc