Nei giorni in cui celebriamo la Pasqua, il Vangelo ci conduce davanti a un sepolcro aperto. Non c’è ancora l’apparizione gloriosa del Risorto, non ci sono parole solenni o incontri straordinari. Ci sono solo dei segni: un sepolcro vuoto, delle bende lasciate, un sudario piegato. Eppure quegli indizi bastano agli apostoli per intuire che la morte non ha avuto l’ultima parola.
È da qui che vogliamo partire per leggere la notizia che scuote la Chiesa: la morte di Papa Francesco. Anche per noi, oggi, non resta che volgere lo sguardo ai segni. Non per commemorare, ma per riconoscere ciò che continua, ciò che resta vivo. Il pontificato di Francesco è stato un cammino disseminato di tracce. Alcune silenziose, altre rumorose. Alcune accolte con gioia, altre rifiutate. Ma tutte, in un modo o nell’altro, ci riportano al Vangelo. Il primo segno che ci resta è lo stile. Non tanto uno stile comunicativo o mediatico, ma una modalità concreta di essere con gli altri: semplice, diretto, libero da formalismi.
In ogni stretta di mano, in ogni sguardo, Francesco ha messo al centro la persona. È andato oltre le forme, perché prima ancora delle strutture ha creduto nella forza di un incontro che cambia il cuore.
Il secondo segno è il suo sguardo sulle periferie. Non un concetto sociologico, ma l’eco viva del comando di Gesù: “Andate fino agli estremi confini della terra”. Francesco ci ha insegnato che questi confini non sono solo linee su una mappa, ma realtà vive: la povertà, la solitudine, l’emarginazione. È lì che ha voluto portare il Vangelo, perché è lì che Cristo abita da sempre. Non una scelta ideologica, ma una fedeltà radicale alla missione. Il terzo segno è la misericordia. Per alcuni una bandiera troppo sventolata, per lui una ferita aperta da fasciare. Ha insistito nel dire che la Chiesa non è una dogana, ma un ospedale da campo. Ha spalancato le porte a chi vive ai margini, non per negare il peccato, ma per offrire un incontro che guarisce. Non ha cambiato la dottrina: ha cambiato il tono, e lo ha fatto per farci sentire il cuore di Dio. Il quarto segno è la sinodalità. Francesco ha creduto che lo Spirito non parla solo a chi guida, ma al popolo intero. Ha invitato la Chiesa ad ascoltarsi, a camminare insieme, a lasciarsi sorprendere.
La sinodalità non è una moda ecclesiale, ma una riscoperta delle prime comunità cristiane, dove ogni voce era preziosa e ogni passo era condiviso. E poi ci sono quei segni che parlano direttamente al cuore del popolo di Dio. Papa Francesco ha saputo ridare dignità a tutto ciò che nella fede passa attraverso l’affetto, la preghiera semplice, la devozione quotidiana. Non ha mai disprezzato la pietà popolare, anzi l’ha amata, custodita e promossa. Commovente è stato il suo costante ritorno all’icona della Vergine Maria in Santa Maria Maggiore, davanti alla quale ha pregato nei momenti più importanti del suo pontificato, fino all’ultimo. Uno sguardo nello sguardo, come un figlio che si affida e affida il suo popolo. Ha rilanciato la figura di San Giuseppe, silenzioso custode e padre forte, indicandolo come modello nella sua ultima enciclica. E ha continuato a indicare il Cuore di Cristo come sorgente della missione, non per una spiritualità disincarnata, ma per una fede che si nutre di amore vero, capace di diventare fiamma ardente.
Questi segni, lasciati nel tempo, oggi sono tracce pasquali. Ci chiedono di non fermarci alla tomba, ma di riconoscere in essi il volto del Risorto. Perché in ogni epoca, anche la nostra, il cuore del Vangelo continua a pulsare nei segni del tempo, e ci chiama a rimetterci in cammino dietro a Lui, con occhi che sanno vedere, e un amore che sa credere.

Eredità storica
Jorge Mario Bergoglio è stato un personaggio storico. Sin dal conclave della sua elezione ha marcato uno spartiacque nella storia della Chiesa e dell’umanità.
Convocato non in seguito alla morte del suo predecessore (Benedetto XV, da cui per tanti aspetti è inscindibile), ma alle sue dimissioni; il 13 marzo del 2013 si affaccia su piazza San Pietro il primo papa gesuita, il primo papa extraeuropeo della storia moderna (l’ultimo, Gregorio III, fu eletto nell’ottavo secolo), il primo papa a scegliere il nome di Francesco, il santo di Assisi e forse il più amato dai fedeli, ma anche e soprattutto a sua volta un personaggio storico: autore del primo testo poetico della letteratura italiana, immerso nel rinnovamento religioso del XIII secolo, che non era solo un fatto di Chiesa, perché la religione permeava tutta la società e la cultura medievali, partecipante alle crociate, ma senza armi e portando il dialogo con quelli che per il resto della cristianità erano gli “infedeli”. Papa Francesco ha raccolto col nome anche l’eredità storica e, se Francesco si era spogliato dei vestiti e degli averi paterni, il pontefice ha scelto di vivere a Santa Marta e non negli appartamenti papali e ha deciso di compiere il suo primo viaggio attraversando lo stesso mar Mediterraneo per fermarsi a Lampedusa, in visita ai migranti.
Gli ultimi tra gli ultimi in un momento in cui, all’indomani delle primavere arabe e della caduta di Gheddafi, gli sbarchi terrorizzavano l’Europa e provocavano chiusura. Al contrario la sua è la proposta di una Chiesa “in uscita”.
Articolata in esortazioni apostoliche e lettere encicliche, da “Amoris Laetitia” volta a indagare l’amore coniugale nella contemporaneità (e si pensi alla centralità del tema del declino demografico) a “Laudato si'” – poi seguita dalla lettera apostolica “Fratello Sole” – con cui ha messo al centro da un lato la critica al sistema economico neoliberista e alla disuguaglianza economica (che gli ha causato l’accusa di essere “marxista” e forse oggi, in tempi di dazi, con alcune tra le persone più ricche del pianeta a guidare la prima potenza mondiale e in assenza di regole che valgano per tutti, le sue posizioni appaiono molto meno estreme) e dall’altro lato il contrasto al cambiamento climatico e la cura della terra, da “Fratelli tutti”, che pone con forza il tema della fratellanza universale tra gli uomini con una critica radicale a tutte le guerre, a “Dilexit nos”, l’ultima, per ritornare al cuore e all’amore non come buon sentimento, ma come strumento dell’azione umana nel mondo. Alle parole papa Francesco, il primo ad aver parlato di «terza guerra mondiale a pezzetti», ha aggiunto i fatti. La sua prima visita, a Lampedusa dai migranti, la sua ultima, giovedì santo, a Regina Coeli dai detenuti. Non gli ultimi, ma proprio i lebbrosi: come san Francesco non ha scelto una categoria “socialmente accettabile” di ultimo, ma gli indesiderati. I malati di lebbra nel medioevo vivevano appartati, fuori dalla comunità (di fatto “scomunicati” in una società che non prevedeva vita al di fuori della vita comunitaria) e dovevano annunciarsi per permettere a chi li incrociava di scannarsi.

Papa Francesco va in visita nella parrocchia Sacro Cuore di Gesù, vicino alla stazione Termini
Ph: Cristian Gennari/Siciliani
E poi la pace, a cui ha dedicato gran parte della sua attenzione, arrivando a baciare i piedi ai leader del Sud Sudan in guerra nel 2019 come oggi (il conflitto forse più sanguinoso tra quelli che si combattono oggi) e inviando il card. Zuppi in missione umanitaria per trattare il rilascio dei bambini ucraini trasferiti illegalmente in Russia. Il dialogo con l’imam della moschea di al-Azhar in Egitto, che porta al documento congiunto “Sulla fratellanza umana” siglato ad Abu Dhabi nel 2019, così come quello con il patriarca Kirill di Mosca, che ha portato allo storico primo incontro del 2016. Il rinnovamento della Chiesa anche come istituzione e del Vaticano come stato, due passaggi difficili, segnati da divisioni e di cui solo nel tempo si capirà la dimensione effettiva. Il Concistoro aperto a una concezione più “mondiale” e meno “eurocentrica” (con possibili ricadute sul prossimo conclave). La dimissione dallo stato clericale per abusi sessuali di un cardinale per la prima volta, segno di un impegno così come la Commissione istituita nello stesso ambito. La “Statio orbis”, la preghiera e benedizione “Urbi et orbi” da solo in una piazza San Pietro deserta il 27 marzo 2020 durante la pandemia. E lunedì mattina, di nuovo, Jorge Mario Bergoglio si è trovato da solo a concludere la sua esperienza terrena di papa e profeta.
Giuseppe Del Signore