Un silenzio carico di attesa attraversa i fedeli di tutto il mondo in questo delicato momento della storia della Chiesa. È quel clima sospeso, fuori dal tempo e dallo spazio, che accompagna sempre il tramonto di un’epoca e il sorgere di qualcosa di nuovo. Accade in ogni contesto umano: in famiglia, quando un equilibrio di serenità viene scosso da un evento inatteso, dalla fragilità della malattia. E accade oggi nella comunità dei credenti, chiamata ad accompagnare il “suo” Papa lungo il cammino della croce.
È impossibile non tornare con la mente a quel 27 marzo 2020, quando, in una Piazza San Pietro deserta, Francesco saliva i gradini del sagrato in un silenzio agghiacciante, per inginocchiarsi ai piedi del crocifisso e implorare misericordia per il mondo. Oggi la scena si ripete, non con i passi stanchi di un uomo provato, ma dal letto di un ospedale, dove, come assicurano i cardinali, “continua a guidare la Chiesa”.
Papa Francesco cammina ancora, e nel suo silenzio ci insegna una lezione che è il magistero più alto per ogni cristiano: la lezione della sofferenza. È faticoso accettarla, lo proviamo tutti quando la malattia o il dolore ci toccano da vicino. Eppure, questa è la fede che abbiamo ricevuto nel battesimo e confermato nella cresima: la fede in un Dio innamorato dell’uomo fino a patire per lui.
Da quel giorno sul Calvario, ogni sofferenza, ogni goccia di sudore versato nel dolore fisico o spirituale, può diventare atto d’amore, unendosi a Cristo Salvatore.
Francesco, con il suo silenzio, guida oggi la Chiesa dentro questo mistero, anche se fatichiamo ad accettarlo. È bello vedere comunità di fedeli che pregano per la sua guarigione; è normale provare disagio di fronte a comunicati che ripetono “va tutto bene”. Ma ci è chiesto di andare oltre. Ci è chiesto di comprendere che il cammino della Chiesa è il cammino della Passione verso la Resurrezione. Questi sono i due poli della vita del credente, le tappe con cui oggi siamo chiamati ad accompagnare il Papa.
Invocare la guarigione è cosa buona, ma ancora più grande è chiedere che questo tempo di prova diventi un annuncio del Vangelo della prossimità di Dio alla fragilità dell’uomo. “Dalla croce non si può scendere” proclamava San Giovanni Paolo II, segnato da una malattia portata con fedeltà fino al compimento. “Se possibile, passi da me questo calice” pregava ancor prima Gesù nel Getsemani. Paura del dolore e fedeltà fino in fondo: entrambe fanno parte della nostra umanità. Ci dobbiamo fare i conti, con fatica e preghiera. Tutti.
Ad ognuno di noi è chiesto di domandare una cosa sola, la più difficile ma anche la più matura: che si compia la volontà di Dio, perché, come diceva San Francesco, “in essa sola è la nostra pace”.
don Carlo Cattaneo