Di ritorno da una corsa. Cocci aguzzi di muretti abbandonati, scalcinati, addormentati. Piante si distendono in uno stretching di anni, una foglia alla volta, un ramo alla volta, fino a occupare vialetti, a celare portoni e portoncini. Fanno ombra a gioie dimenticate.
Ed è facile ritornare alle emozioni del cantiere, immaginare la visita quotidiana in sella a una bici o in auto, a imparare strade sconosciute fino a farne la via di casa. Rimembrare i sorrisi delle inaugurazioni, fantasticare di brindisi di parenti e di nuovi vicini, di amici e dei bambini piccoli che corrono nel loro nuovo reame incantato, ai loro occhi paradiso sconfinato e non etimologicamente giardino confinato. I nonni ad ammirare l’hortus conclusus dei figli e a scambiarsi un cenno d’intesa.
Sì, nostro figlio nostra figlia ce l’ha fatta. Ora la casa, l’altra, quella dell’infanzia, la nostra, sarà più vuota, più silenziosa, una cameretta divenuta all’improvviso troppo grande e tanto inutile. Per qualche anno la useranno i nipoti.
Ma quella cameretta era anche presagio di altro. L’ingresso di un vuoto destinato a essere tamponato per un po’, ma anche, come l’umidità nascosta dietro un armadio, a estendersi. A sommergere i tanti pack dei mobili, delle carte, dei quadri che stipano dimore abbandonate, assediate non dai rampicanti ma dagli eventi d’una realtà incredibile e mai creduta.
Un vuoto destinato a diventare ombra. L’ombra di quelle case al ritorno da una corsa. Così vive un tempo e adesso così ferme. I nipoti sono cresciuti e sono andati altrove: altro quartiere, altra città, altro paese. Ogni tanto ripenseranno a quei luoghi dell’infanzia con nostalgia, nella testa un ricordo, nelle orecchie il suono d’un richiamo o d’un attrezzo, nel naso il sapore d’un sugo che scoppietta pian piano, sulle labbra l’odore d’un bacio umido di bucato e faccende domestiche, negli occhi una scintilla di malinconia. Li vedranno romiti, anche se più nella loro mente che nella realtà. Semplicemente hanno preso altre vie e di quelle, come i loro genitori, un poco alla volta hanno fatto la via di casa.
All’ombra non c’è più neppure l’eco dei sorrisi e delle emozioni. C’è solo lo sguardo ora curioso ora distratto del passante, ogni tanto la fantasticheria d’una coppietta di fronte alla ruggine del cancello, zucchero a velo del tempo. Ma non ci sono più torte da guarnire, il rumore della vita si è spostato nella casa accanto, in un altro quartiere, altrove, chissà. Com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Giuseppe Del Signore