Osservatorio 29-11 / Echi tra le vie di Sarajevo

Mentre nei cieli di Dnipro volava il missile Oreshnik e il premier israeliano Netanyahu reagiva al mandato d’arresto della Corte penale internazionale definendola una «accusa assurda e falsa, frutto di una decisione antisemita», mi trovavo per le strade di Sarajevo. Città periferica, città martire, città protagonista di due snodi diversamente importanti nella storia del Novecento, uno all’esordio e uno al termine del “Secolo Breve” che forse così breve non è stato e neppure si è ancora concluso.

Il missile supersonico lanciato dalla Russia in Ucraina non rappresenta un salto in avanti dal punto di vista tecnologico (ne esistono di più veloci e di più potenti anche nell’arsenale russo), ma dal punto di vista dell’escalation: Mosca ha risposto al via libera dato dagli Stati Uniti e dal Regno Unito all’Ucraina per l’impiego dei propri missili (Atacms e Storm Shadow) su territorio russo testando su suolo ucraino un vettore progettato per trasportare una testata nucleare a medio raggio senza poter essere intercettato. Non una minaccia diretta per gli Stati Uniti, ma per l’Europa, tanto che nei giorni successivi la propaganda moscovita si è dilettata diffondendo video che simulavano la traiettoria di lanci verso le principali capitali (Londra, Parigi, Berlino, Varsavia, non Roma, periferia geopolitica).

Non c’è salto avanti nella guerra anche nel caso della reazione scomposta, forse anche sorpresa, di Netanyahu di fronte al mandato d’arresto per «crimini contro l’umanità e crimini di guerra», tanto che questa settimana è iniziata la tregua in Libano. La Cpi lo ha spiccato dopo aver valutato, tra gli altri, che sussistono «ragionevoli motivi per credere» che il primo ministro (e l’ex ministro della difesa Gallant) siano responsabili di «crimine contro l’umanità di omicidio», «atti inumani», «persecuzione». Si tratta di accuse che dovranno essere dimostrate in un processo, per istruire il quale è necessario l’arresto: la Cpi, per il suo Statuto stilato a Roma nel 1998, non può agire “in contumacia” degli imputati. Difficile pensare che, se mai ci sarà, possa svolgersi tanto presto sia perché Israele non aderisce al tribunale internazionale sia perché il mandato dovrebbe essere eseguito da uno degli stati aderenti qualora Netanyahu dovesse visitarli.

Lo stesso Putin aspetta che qualcuno dia seguito al suo ordine di cattura (ad esempio ha già visitato la Mongolia).

Entrambi gli avvenimenti si intrecciano tra le strade di Sarajevo, la città dell’Attentato e dell’Assedio. Incrociando una delle “rose” (chiazze di vernice sull’asfalto che ricordano le voragini dei mortai), passando all’ombra di un palazzo con ancora i fori dei proiettili, percorrendo le vie della “City Hall”, colpita dai bombardamenti serbi durante il conflitto jugoslavo e poi sede del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia che giudicò i crimini di guerra e contro l’umanità commessi tra il 1991 e il 1995 (e poi nel 1998-99 in Kosovo) e che diede impulso proprio alla nascita della Cpi. Una delle sale della “City Hall” è dedicata alle prove fotografiche, presentate in tutta la loro crudeltà; tra le foto quella di un internato: smagrito, le guance scavate, lo sguardo spento, sembrava una delle foto scattate ad Auschwitz, sembrava il 1945, era il 1995.

E poi l’imboccatura del ponte latino, in un angolo il calco dei piedi che ricorda la posizione in cui si trovava Gavrilo Princip il 28 giugno del 1914. Fu un caso a far incontrare questo ragazzo nazionalista con l’arciduca Francesco Ferdinando e la duchessa Sofia; l’attentato in cui avrebbero dovuto essere assassinati era fallito, ma i due avevano deciso comunque di uscire per le viuzze della città a bordo di un’auto scoperta. L’autista sbagliò strada all’altezza del ponte e si mise a far manovra davanti a un bar dove sedeva Princip, che li vide, si alzò, estrasse la pistola e li uccise insieme ai 10 milioni di vittime della prima guerra mondiale. La storia non si ripete, ma racconta (anche) gli errori del passato, perché non sono i missili né le pistole a farla né è pre-determinata, ma determinata talvolta dal caso, spesso dalle decisioni e dalle valutazioni sbagliate di esseri umani. Persone come capi di stato e ventenni delusi seduti al tavolo di un caffè.

Giuseppe Del Signore

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