Osservatorio 3-11 / Dispersi

A Roddi, nella Langhe, c’è una lapide che ricorda i caduti della seconda guerra mondiale. Non una come tante, perché qui chi è rimasto ha deciso di ricordare gli altri con la loro foto. Più che una targa, la lapide di una comunità. Si vedono i volti giovani e si intuiscono – o sembra di intuire – caratteri e inclinazioni: chi più severo, chi sereno, chi ingenuo, chi accigliato, tutti fermati in un istante della vita che di quella vita è forse tutto ciò che rimane. I caduti in battaglia sono una decina, quello che colpisce è che i dispersi sono molti di più. Sono partiti, non sono più tornati; se uno è sognatore può pensare che, sopravvissuti alla guerra, sulla via del ritorno abbiano deciso di partire all’avventura, abbiano incontrato un’infermiera come Frederic Henry in “Addio alle Armi” (anche se quella era un’altra guerra), abbiano trovato, in mezzo alla distruzione, un angolo di paradiso in cui fermarsi.

Può darsi che per qualcuno sia davvero andata così, ma per la maggior parte la verità è che «Di tanti / che mi corrispondevano / non è rimasto / neppure tanto». Nella settimana dedicata alla festa dei Santi, ma anche al ricordo dei morti, «nell’ora che penso ai miei cari», non sfugge che questo è lo stesso destino che oggi tocca a tanti in ogni parte del mondo. Il riferimento più immediato, per la centralità che ha nella cronaca dal 7 ottobre, è alla violenza in Terrasanta; prima i civili israeliani uccisi e rapiti dai terroristi di Hamas, quindi le vittime e i feriti tra le macerie di Gaza, nel fumo di un campo «mezzo grigio e mezzo nero». Nuovi dispersi, solo che nel 2023 le foto sono a colori, con famiglie rimaste «come l’aratro in mezzo alla maggese» di Pascoli a chiedersi dove sono finiti, se faranno ritorno, se ci saranno delle spoglie su cui piangere, da portare al cimitero, ammesso che i cimiteri ci siano ancora. Nella guerra non resta che qualche «brandello di muro», Ungaretti lo sapeva; se lui poteva scrivere «ma nel cuore / nessuna croce manca» non sembra che il cuore oggi sia un cimitero migliore.

Altra scena, altri dispersi. La spiaggia di Selinunte è stata lo scenario dell’ultimo naufragio di migranti sulla rotta mediterranea, sei morti e un numero imprecisato di scomparsi, forse tra i quindici e i venti. Anche l’Ucraina del resto avrà i suoi dispersi, pure negli sperduti villaggi russi ci saranno madri, padri, fratelli, sorelle che si chiederanno dove sono i loro cari, con la speranza dell’illusione. In Messico, chissà, nemmeno ci fanno più caso a chi scompare inghiottito dalle guerre del narcotraffico. Tra Armenia e Azerbaijan il conflitto (la parte acuta di uno scontro che va avanti dal 1988) è durato troppo poco perché fosse davvero captato dai radar dell’attenzione. Sud Sudan, Etiopia, altri stati africani, e poi Siria, Birmania. Ovunque morti, talmente tanti che in fondo è come se fossero tutti immediatamente dispersi; nel tempo, nella memoria. Forse non ci sarà neanche più bisogno di una ricorrenza nel calendario. E’ che in questa «terza guerra mondiale a pezzi» sembra sempre, in ogni giorno, in ogni stagione «l’estate / fredda, dei morti».

Gds

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