Osservatorio 30-08 / L’ozio non è un disvalore

Ci può essere quiete nella tempesta. Da pochi giorni in Australia è stata approvata una legge che riconosce la facoltà dei dipendenti di non rispondere a telefonate o messaggi al di fuori dell’orario di lavoro; così il paese oceanico si è aggiunto al gruppo dei pochi stati che tra Europa e America riconoscono il diritto alla disconnessione in contrapposizione all’iperconnessione che caratterizza anche il mondo del lavoro e che si avverte con più forza in questi giorni di fine agosto, che per molti sono il tempo del ritorno alle occupazioni quotidiane, tra cui anche email, chat di lavoro, chiamate.

Che non sia solo un argomento da chiacchierata “alla macchinetta del caffè” lo suggerisce un comportamento sempre più diffuso tra Millennials e Generazione Z (i nati dagli anni ’80 ai Duemila), che sempre di più non rispondono al telefono e preferiscono i messaggi alle chiamate ovvero che non usano il telefono per telefonare perché ritengono le telefonate una seccatura. Nel Regno Unito il Times ha stimato che il 70% degli under35 rientra in quest’ambito.

Tornando alla sfera dell’occupazione, nel corso del Meeting di Rimini il presidente di Compagnia delle Opere Andrea Dellabianca, presentando il “Manifesto del buon lavoro”, ha ricordato che

secondo numerosi studi solo il 5% dei lavoratori risulta soddisfatto del proprio lavoro.

Il Manifesto propone come punti la ricerca di strumenti per aumentare la soddisfazione, la creazione di valore sociale e non solo finanziario, rivedere l’organizzazione del lavoro per far sentire le persone più libere, dare spazio e valore alle idee e alla creatività dei dipendenti con sistemi di premi, allineare la visione aziendale alla sostenibilità.

Si potrebbe riassumere tutto nel principio di far sì che il posto di lavoro sia un luogo a cui si pensi con serenità. Per tradurre in pratica un simile intendimento servirebbe certo ripensare spazi e orari (e infatti molti paesi stanno sperimentando con successo la settimana lavorativa di 4 giorni sul modello “100:80:100” ovvero uguale retribuzione, minore orario, stessa produttività), ma già un passo significativo sarebbe riconoscere a dipendenti, collaboratori, colleghi spazi e tempi di “ozio”.

Un ozio inteso alla latina come “nec otium” cioè tempo libero dalle occupazioni professionali e cittadine che i patrizi Romani dedicavano alla riflessione e allo studio, ma che prosaicamente ciascuno può dedicare alle sue passioni. La parola è il contrario di “negozio”: del resto in Australia tra le motivazioni che hanno portato all’approvazione della norma sul diritto alla disconnessione c’è la stima di 281 ore annuali di lavoro non retribuito e legato alle risposte a messaggi, mail, telefonata; sono cioè quasi 6 ore a settimana se si sottraggono i periodi di ferie, di fatto una giornata lavorativa aggiuntiva. Che è meglio dedicare a “oziare”, perché l’etimologia di ozio, che è incerta, si collega ad “aveo”, che vuol dire “sto bene”.

Giuseppe Del Signore

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