Alzi la mano chi non è mai andato a pesca. Pochi, probabilmente: negli infiniti fossi e rogge della “terra del riso”, la pesca era ed è un’abitudine piuttosto diffusa. Chi lo ha fatto avrà magari avuto un parente o un amico più esperto che sapeva dare un nome a tutti quei luccicanti pesciolini che abboccavano all’amo: il lungo cavedano, la scardola dalle pinne rosse, il barbo coi suoi baffetti.
Se l’esperto in questione tornasse sulla riva del fiume oggi, potrebbe però faticare a riconoscere alcuni degli animali che gli erano familiari: questo perché la fauna delle nostre acque è profondamente mutata, a causa sia dei cambiamenti climatici e ambientali sia dell’introduzione di nuove specie da parte dell’uomo. Nei primi anni del ‘900, la trota fario era la regina del Ticino; già a partire dagli anni ’70, l’introduzione dell’americana trota iridea ne aveva ridotto il numero. Che dire delle gambusie, pesce originario del bacino del Mississippi, immesso negli anni ’20 nelle acque dolci italiane per contrastare le larve di zanzara (non funzionò, come si può intuire). L’introduzione di nuove specie comunque era cominciata ben prima, anche in questo caso spinta da intenzioni lodevoli: con l’Unità d’Italia, il governo spinse per la diffusione di pescigatto, persici sole e persici trota, pesci di origine americana che ben si adattavano alle acque stagnanti della pianura Padana e, con il loro consumo, avrebbero potuto prevenire la pellagra.
Negli anni ’80 cade la Cortina di Ferro, a est si aprono nuovi mercati e la disponibilità di tanto pesce a buon prezzo fa arrivare nuove specie anche nelle acque lomelline. Ovviamente non ci arrivarono nuotando da sole: le cosiddette “semine di pesce bianco” (l’importazione di massa di animali vivi nei fiumi, principalmente per la pesca) diffusero numerose specie originarie dell’Europa centro-orientale: e quindi benvenuti a siluri, aspi, lucioperca e tantissime varietà di ciprinidi, molto simili all’apparenza a pesci nostrani come alborelle, scardole, vaironi con i quali infatti competono per cibo e risorse. Si dirà: massì, un pesce vale l’altro. Ma la natura non funziona proprio così. Ogni essere vivente si evolve in un contesto unico, non è intercambiabile e la scomparsa di uno ne condizionerà sicuramente qualcun altro, innescando una reazione a catena impossibile da tenere sotto controllo. La perdita di biodiversità può avere ricadute pesanti anche sull’economia e sulla salute umana. E tutto può partire anche dalla scomparsa di un pesciolino.
Alessio Facciolo