Quando finirà la guerra? Ce lo chiediamo anche noi oggi. Ma cento anni fa qualcuno se lo chiedeva pensando che quella precedente non fosse ancora finita. La prima guerra mondiale, intendiamo.
Cento anni fa, infatti, l’Araldo Lomellino diede notizia che una famiglia di Trento aveva ricevuto una lettera del proprio figlio, fatto prigioniero in Russia nel corso del recente conflitto mondiale. Il cronista specificava che, «non avendo avuto più notizie di lui da quel tempo la famiglia lo credeva morto». Invece stava ancora, con alcuni compagni, in una remota regione della Siberia. Nella lettera ai famigliari si chiedeva quando mai sarebbe finita la guerra e quando sarebbe potuto tornare in patria. La lettera era indirizzata a Trento, «in Austria». Decisamente polemica, invece, la notizia che
la Società delle Nazioni, non potendoci dare un assetto di pace sicura, sta occupandosi della riforma del Calendario.
Insomma, quando i problemi sembrano troppo grandi (o scomodi), anche le grandi istituzioni giocano a buttare fumo negli occhi. I tempi… non cambiano mai. «Oh! C’è del lavoro per una grande società delle nazioni – commentò il cronista del nostro giornale – che, si sa, costa fior di quattrini! Tutto per la pace…». Già allora, però, ci si poneva il problema del “fine vita”. E i cattolici dicevano apertamente il loro parere, per quanto già anche allora, presso i laicisti, fosse fortemente scomodo: non se ne parla neppure di dare la morte a qualcuno per decisione propria, ribadivano i credenti. A sollevare il caso – uno tra i molti che facevano capolino dalle cronache dei giornali di allora a questo proposito – fu la notizia che in Francia un medico affermò che è giusto uccidere «chi è spacciato dai dottori». Il cronista di allora aggiunse che «questo bel tomo confessa che egli aiutò così una sua figlia a morire», commentando senza mezzi termini che «ci vuole un bel cinismo per confessare simili… prodezze!». Per quanto riguarda la cronaca, all’ufficio postale un addetto – tale Egidio Guerciotti – fu scoperto a manomettere i pacchi postali appropriandosi dei beni in essi contenuti. Sul fronte politico-economico, la cronaca registrava l’ingresso degli imprenditori calzaturieri vigevanesi nella Associazione Nazionale degli Industriali in Calzature. «Ciò servirà certo ad avvantaggiare assai le sorti della nostra massima industria cittadina».
Carlo Ramella, storico locale