In questa città sfuggente che conserva l’ombra di te, una tua specie d’impronta, mi muovo sicuro e circospetto, seguendo i tuoi passi invisibili attraverso cortili sconosciuti, ricostruendo il tuo percorso lungo rapide discese e ampie scalinate, varcando innumerevoli porte che si aprono nella notte. Nei sentieri lastricati scorgo il disegno dei tuoi pensieri incastonati tra un ciottolo e un altro, indagando la nebbia che s’infila in un bicchiere lasciato fuori da un bar sotto i portici. Sotto la arcate rimbombano i miei passi, e li scambio per i tuoi.
Mi stringo al collo il bavero, il freddo che entra nelle ossa; la brace nel cuore, che cova sotto la cenere del cappotto. Entro in un giardino nascosto al centro di un palazzo, alla fine di un lungo corridoio d’ombra. Una finestra ad arco acuto s’illumina di giallo solo per metà nel nero della facciata. Sembra un punto interrogativo, poi si spegne senza una risposta. Ho un po’ di sabbia nelle scarpe, e in tasca alcune lacrime di ieri, che oggi sono diventate perle. Perdersi nei vicoli più oscuri della città, sbuffando il fiato fuori dalla bocca e dall’anima fino all’ultimo soffio, correndo nella notte in una corsa che disegna un cuore. Il cuore della persona che inseguiamo, senza mai vederla nella sua interezza, percependone un frammento nel profilo di un vetro rotto, nella musica cristallina di una risata, nell’eco dei suoi passi sull’acciottolato che si stende all’infinito intorno a noi.
Fino a scoprire che quel cuore – quel mosaico da cui ricostruiamo l’identità di un amore, la soluzione di un mistero, gli assiomi che portano alla formulazione di un teorema – è il nostro stesso cuore.
E questa città maledetta che ti prende e non ti lascia andare più via, e tu vorresti uscir dalle sue porte ma non puoi, perché al suo interno vive e si muove la tua anima gemella e tu passi tutto il tempo a cercarla, e forse una notte la troverai, ma a volte pensi che quest’anima sia fuori, e vorresti andartene per cercarla nel mondo, e invece poi pensi che il tuo mondo è proprio qui, tra i sepolcri imbiancati di questi palazzi, e tra le ossa marce e putrescenti che riempiono i muri di calce forse si nasconde un diamante. E allora resti, ancora una volta, e continui a cercare, col tuo impermeabile spiegazzato, come quello di un barbone – ti dicono – ma che per te è un mantello, e tu un cavaliere senza cavallo, casomai con un somaro, se non fosse che certe volte il somaro sembri proprio tu.
Davide Zardo