Una delle attrazioni della Terra santa preferite non solo dai turisti ma anche dai pellegrini è senz’altro costituita da quello che siamo soliti chiamare “muro del pianto”.
In effetti il suo nome è Kotel: si tratta infatti, come dice questa parola, del muro occidentale che, come rinforzo, si appoggiava da quel lato alla costruzione del tempio vero e proprio ed era vicino al punto più sacro, rappresentato dal Santo dei santi. Da quando il tempio è stato distrutto per la seconda e ultima volta, nel 70 d.C., dalle truppe dell’imperatore Tito che sedarono nel sangue le resistenze di matrice religiosa e misero a ferro e a fuoco la città di Gerusalemme, questo lembo di muro rimasto in piedi continua a esercitare un grande fascino sugli ebrei di tutto il mondo. Da qui anche la tradizione pluricentenaria di infilare nelle fessure foglietti di carta contenenti intenzioni di preghiera. Tra le richieste più ferventi si distinguono senz’altro quelle inerenti il ritorno di tutti gli ebrei esiliati nella terra di Israele e la ricostruzione del tempio (il terzo): a quel punto, tutto sarebbe pronto per l’arrivo del messia.
L’appellativo “muro del pianto” deriva dal fatto che le persone non ebree, osservando il modo di pregare degli ebrei che presuppone continui movimenti della parte superiore del corpo, sono portate a pensare che si stiano lamentando o appunto piangendo. In realtà si tratta solo di un’abitudine che aiuta a mantenere la concentrazione e a coinvolgere tutto il corpo nella preghiera. In tal senso, ci ricordano qualcosa di importante: che la preghiera non consiste semplicemente in una prassi, ma è una relazione, un rapporto con il Signore che ci coinvolge completamente e che, se vissuta con questo spirito, diventa contagiosa, proprio come una danza. L’accesso alla piazza e al Muro del Pianto è consentito a chiunque, di qualsiasi religione sia. Sempre nel rispetto verso gli ebrei che vanno lì per pregare, non ci sono problemi a mescolarsi con la folla, avvicinarsi al muro e fare video e scattare foto.
L’unica eccezione è il giorno dello shabbat. Nel giorno sacro per gli ebrei, non è consentito entrare nell’area di preghiera, né utilizzare alcun dispositivo elettronico. Vale però la pena vedere da vicino il fervore degli ebrei più religiosi, i rituali degli ortodossi e l’atmosfera unica che si respira quel giorno.
don Luca Pedroli, biblista presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma