Più volte è stato messo in risalto come una delle esperienze più toccanti che si vivono durante un pellegrinaggio in Terra santa sia il passaggio nel deserto.
Si tratta di un luogo quanto mai impervio. Nella stagione più mite e piovosa si assiste allo spettacolo incantevole del deserto fiorito, che rimanda a quanto si legge nell’oracolo che apre il capitolo 35 di Isaia: «Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo». Nel resto dell’anno, invece, le condizioni risultano quasi proibitive. Eppure anche qui vivono delle persone. Si tratta dei beduini, un termine che deriva dall’arabo badawiyyīn e che significa appunto “abitanti della bādiya”, vale a dire del deserto. Sono tribù nomadi, dedite all’allevamento di pecore e capre. Durante le soste, le donne raccolgono radici, erbe, bacche e locuste, che vengono essiccate e conservate per i periodi di magra. La loro cultura è profondamente legata all’ambiente desertico in cui vivono e si distingue per valori di ospitalità, lealtà tribale, autosufficienza e una forte connessione con la tradizione orale. I beduini sono organizzati in tribù (qabila), che sono suddivise in clan e famiglie. La fedeltà alla tribù è fondamentale. L’ospitalità (diyafa) è un valore centrale nella loro cultura. È considerato un dovere accogliere e proteggere gli ospiti, anche sconosciuti, offrendo cibo, riparo e assistenza.
Questo valore è legato all’ambiente desertico, dove la sopravvivenza può dipendere dall’aiuto reciproco.
Quando capita di incontrarli, si rimane colpiti dalla loro ospitalità: subito ti offrono tè caldo alla menta e datteri e ti pregano di sostare presso le loro tende. Pochi sanno che anche loro, pur essendo arabi, hanno pagato un prezzo di sangue durante l’attacco del 7 ottobre che ha dato inizio al conflitto tutt’ora in atto: diciassette di loro sono stati uccisi dai terroristi, altri sono ancora ostaggi. E questo perché, con atti di eroismo, sono riusciti a salvare decine di persone durante il massacro. Ancora una volta, sono i più poveri e umili a insegnarci le cose più importanti e ad offrirci gli esempi più belli. E si capisce bene perché il Signore è in loro che ci invita a riconoscerlo ed è a loro che continua ad affidare la testimonianza più autentica e credibile del Vangelo.
don Luca Pedroli, biblista Pontificio Istituto Biblico di Roma