Delle imminenti elezioni americane colpisce – almeno secondo la mia personalissima interpretazione della politica a stelle e strisce – la sorprendente incapacità di entrambi gli schieramenti di proporre candidati di un certo spessore.
In un Paese di oltre trecento milioni di abitanti, con alcune delle università più prestigiose al mondo e il maggior numero di premi Nobel, ci si ritrova davanti a Donald Trump e Kamala Harris come opzione per la guida della nazione. Quando, nel 2020, Joe Biden sconfisse Donald Trump, il presidente uscente reagì mettendo in dubbio i risultati e incitando i suoi sostenitori più radicali ad assaltare il Campidoglio. Da allora, in questi ultimi quattro anni, il magnate americano è stato coinvolto in una serie di scandali e inchieste: dall’FBI che ha perquisito Mar-a-Lago alla ricerca di documenti riservati, all’accusa di falsificazione di documenti per aver versato 130.000 dollari a un’attrice porno, presumibilmente per coprire una relazione extraconiugale. E non dimentichiamo le sue dichiarazioni alquanto bizzarre sui gusti culinari degli immigrati haitiani, secondo lui inclini a fare scorpacciate di cani e gatti.
Queste uscite lo hanno reso virale sui social, con tanto di canzone remixata da un cantante sudafricano che ha raggiunto tre milioni di visualizzazioni. Tuttavia, fanno riflettere sui pregiudizi che sembrano animare il candidato repubblicano.
Di Kamala Harris sappiamo che, dopo aver sostituito un sempre più acciaccato Biden, è diventata candidata per forza di cose. La sua nomina sembra più un disperato tentativo di tappare rapidamente una falla piuttosto che una mossa ponderata e strategica. Dopotutto la Harris non è mai stata particolarmente apprezzata come vicepresidente e durante questi anni ha collezionato una serie di errori che ne hanno minato la credibilità. Entrambi i candidati si trovano ora a dover gestire un momento storico complesso per gli Stati Uniti, con questioni internazionale che sovrastano i problemi interni. La guerra tra Russia e Ucraina, il conflitto in Medio Oriente e i rapporti traballanti con la Cina sono solo alcune delle sfide che attendono il prossimo leader. Chi vincerà? Difficile dirlo. Tra pochi giorni lo scopriremo, e sapremo chi avrà l’onore – e l’onere – di guidare la nazione più potente al mondo.
Matteo Re, docente Università di Madrid