Mappamondo / Il kit di sopravvivenza

Noi europei siamo davvero disposti a rifornirci di beni di prima necessità ed attendere supinamente che una catastrofe, bellica ci dicono, ci travolga? Siamo sicuri di aver imboccato la strada giusta? Ritornare a un modello di sopravvivenza basato su scorte d’acqua, scatolette di tonno, torce e radio portatili è la soluzione alle nuove minacce? Senza voler sminuire i pericoli provenienti dall’Est, dovremmo evitare reazioni impulsive e riflettere con lucidità.

Prenderci un po’ di tempo, perché, nonostante il costante “bombardamento” mediatico che vorrebbe farci credere il contrario, di tempo ne abbiamo. Dovremmo riflettere, per esempio, su come la Russia sia una minaccia reale per il resto d’Europa. In tre anni ha conquistato a fatica una porzione di territorio ucraino perlopiù russofono e russofilo, pagando un prezzo altissimo: mezzo milione di soldati morti, un’economia in crisi, la perdita temporanea del Kursk. Certo, senza il supporto americano, l’Ucraina potrebbe cedere e perdere altre aree, ma a Putin conviene? Siamo certi che il suo obiettivo sia invadere ulteriori stati europei? E soprattutto: oserebbe attaccare un membro della NATO, rischiando una risposta collettiva? Un’azione simile comporterebbe costi enormi, senza alcun vantaggio politico, economico o strategico. L’Europa discute di riarmo, ma sembra trascurare l’importanza del soft power e della diplomazia, fondamentali per mantenere saldo il legame con gli Stati Uniti, costruito sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Certo, un esercito nazionale più forte può funzionare da deterrente, ma dovremmo abbandonare l’idea di un’unica forza militare europea.

Chi sarebbe davvero disposto a condividere con il resto dei paesi membri le proprie fonti di intelligence? Per un esercito comune, servirebbe una trasparenza totale su armi, arsenali, tecnologia e informazioni. In altre parole, la rinuncia a una parte importante della sovranità nazionale: alla difesa, affidandola a paesi con cui non sempre siamo allineati. Siamo pronti a una simile concessione? Forse dovremmo piuttosto concentrarci su minacce più immediate, come le politiche economiche e i dazi, che potrebbero mettere in ginocchio la nostra economia più di un’invasione russa, peraltro poco probabile.

Matteo Re, docente Università di Madrid

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