Passati quattro mesi dall’attacco di Hamas che ha provocato 1.200 morti, il sequestro di 245 persone e la reazione dell’esercito israeliano, sfociata in una durissima guerra ormai unilaterale, è necessario fare il punto della situazione. Innanzitutto va detto che il diritto a difendersi, sacrosanto dopo quanto accaduto il 7 ottobre 2023, si è purtroppo trasformato in un assalto sproporzionato che sta provocando più vittime tra la popolazione civile (alla quale sono stati negati anche gli aiuti umanitari) che tra i miliziani islamisti di Hamas. Ma se stabilire una proporzionalità in una guerra è un esercizio complicato, che spesso prevede interpretazioni etiche e morali individuali facilmente opinabili, ciò che non ammette eccessive discussioni è la palese inutilità della strategia di Netanyahu.
Sono quattro gli scenari che dimostrano che Israele sta fallendo. Il primo elemento è l’inutilità del gesto. Se con la guerra ci si prefiggeva l’eliminazione di Hamas, tale obiettivo è ben lontano dall’essere raggiunto. Oserei addirittura affermare che mai si raggiungerà. Infatti anche con l’uccisione dei capi l’idea più profonda di Hamas, vale a dire la cancellazione dello Stato di Israele, sarà ereditata dai futuri leader o da qualche altro gruppo armato affine. In secondo luogo la popolazione di Gaza, che in base a un sondaggio realizzato qualche mese prima degli attacchi di ottobre si mostrava favorevole a una normalizzazione dei rapporti con Israele, oggi non può certo esprimersi in questo senso. Il rapporto tra israeliani e palestinesi ha fatto enormi passi indietro (non solo per colpa di Israele).
In terzo luogo l’immagine di Israele sta subendo un profondo logoramento a livello internazionale, evidente nella denuncia di genocidio presentata dal Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, uno dei momenti più bui della storia recente di Israele. Vi è infine un ultimo elemento che mostra l’inutilità della reazione dell’esercito israeliano. Il principale obiettivo (almeno sulla carta) che Netanyahu pretendeva di raggiungere, riportare a casa gli ostaggi, è stato mancato del tutto. In cento giorni di operazioni terrestri nessuno di loro è stato liberato. Solo alcuni sono stati usati come moneta di scambio per la scarcerazione di numerosi prigionieri palestinesi. Prolungare la guerra non è soltanto un errore dal punto di vista umanitario, non ha alcun senso nemmeno dal punto di vista strategico.
Matteo Re, docente Università di Madrid