Una delle realtà più toccanti che varrebbe la pena incontrare in Terra santa, soprattutto in questo tempo drammatico di conflitto, è rappresentata da Neve Shalom, che in ebraico significa “oasi della pace”. Il nome è attinto dal Libro del profeta Isaia: “Il mio popolo abiterà in un’oasi di pace” (32,18). Si tratta di un villaggio cooperativo abitato insieme da arabi palestinesi ed ebrei israeliani. Si trova a ovest di Gerusalemme, sulla strada che porta a Tel Aviv.
Siamo nei pressi di Latrun, località dove si ritiene potessero abitare i discepoli di Emmaus, la cui vicenda, segnata dall’incontro con il Signore risorto, è narrata nell’ultimo capitolo del Vangelo di Luca.
Neve Shalom è stata fondata qui, nel 1972, su un terreno preso in affitto dal monastero che custodiva la memoria proprio di questa pagina evangelica. Il fondatore è André Hussar, nato in Egitto da genitori ebrei: dopo essere divenuto cittadino di Israele, si convertì al cattolicesimo e successivamente si fece frate domenicano, assumendo il nome di Bruno. Il villaggio che ha inaugurato rispecchia pienamente il proposito che lo ha animato sin dall’inizio: costruire ponti tra le diverse culture, tradizioni e religioni e fare della propria vita come un’unica, grande marcia per la pace. Attualmente il villaggio è composto da una sessantina di famiglie che hanno allestito un servizio di ospitalità adibito ad accogliere tutti, indistintamente, e che cercano di dimostrare che, pur con tutte le differenze, è possibile la convivenza pacifica tra ebrei e palestinesi. Il fiore all’occhiello di questa realtà è costituito senz’altro dalla scuola primaria.
Gli insegnanti ebrei e palestinesi fanno lezione ognuno nella propria lingua, ma si rivolgono a tutti gli scolari. I bambini prendono coscienza della propria cultura e delle proprie tradizioni, imparando però al tempo stesso anche la lingua e la cultura dei compagni. La loro scoperta più bella è che in questa terra, in Israele come in Palestina, non c’è una storia unica, ma tante storie. Storie da ascoltare e soprattutto in cui vivere, storie da attraversare e da cui essere attraversati, per poi riuscire a tenerle insieme. Quello che ne scaturisce è un clima di apertura e rispetto, che risplende nel contesto attuale come segno profetico e motivo incoraggiante di speranza.
don Luca Pedroli, biblista Pont. Ist. Bibl. di Roma