L’Intervista / Barbara Rubin: «La musica come alleata»

Barbara, suonare è da tempo parte della tua vita. A che età ti sei avvicinata alla musica e con quale strumento?

«Mi sono avvicinata alla musica alle scuole medie, durante le lezioni del professore Felice Garavelli, ben conosciuto insegnante ed eclettico musicista lomellino. Il suo talento musicale e la sua capacità di coinvolgere, non solo nell’attività pratica ma anche nell’infondere interesse per la storia della musica e dei compositori mi ha fatto innamorare di quest’arte, tanto da spingermi a desiderare di iscrivermi al Conservatorio. A 14 anni mi sono quindi iscritta al corso di violino con il quale mi sono diplomata e che tutt’ora rappresenta una delle professioni che svolgo, sia come insegnante che come musicista».

Cosa significa per te fare musica?

«Fare musica è il mio lavoro ed è una fortuna, anche se richiede tanti sacrifici. Essa per me è innanzi tutto comunicazione ed espressione di ciò che sono, è la mia vocazione, è un dono che ancora oggi non smetto di onorare con dedizione, tanto studio e ricerca. Ogni giorno ho la possibilità di divulgarla e trasmetterla ad altri, è quello che ho sempre desiderato sin da quando ero studente, sia con l’insegnamento che con l’attività compositiva, discografica e concertistica».

Preferisci il violino o il pianoforte?

«Sono due mondi diversi. Più che dirti che non saprei quale scegliere, credo sia impossibile per me fare a meno di uno o dell’altro. Il pianoforte rappresenta l’armonia, la costruzione di un ambiente sonoro nel quale cantare, ed è qui che arriva l’importanza del violino. Il pianoforte descrive uno stato d’animo nella sua complessità che il violino può descrivere in maniera più esplicita. Se posso usare una metafora, il pianoforte costruisce una casa e la sua architettura, il violino è colui che la abiterà valorizzando la sua personalità».

Credi che la musica sia terapeutica, e autoterapeutica?

«Lo pensavano anche gli antichi greci… pensavano che certe armonie potessero curare i mali dell’anima o che altre potessero favorire la follia, di certo erano convinti che ci fosse un collegamento tra la musica e l’animo umano e che essa ne influenzasse addirittura il comportamento. Dalla mia esperienza posso semplicemente dire che tutti credono nella musica, tutti la ricercano come alleata quando una giornata è stata troppo pesante, quando non si trovano le parole per comunicare qualcosa o per descrivere uno stato d’animo, quando si cerca un ritmo per ballare sfrenatamente o quando si cerca conforto durante una celebrazione».

La musica serve ad orientarci, a definire il nostro umore, soprattutto oggi, in cui il tempo per la riflessione viene sempre meno.

Tu insegni in scuole di musica e in scuole pubbliche. Che differenza c’è?

«Nelle scuole di musica si ha a che fare con persone che hanno già fatto una scelta, vogliono avere un mezzo per fare musica e bisogna accompagnarli passo dopo passo nella conoscenza di sè come strumentista o come cantante. E’ un approccio individuale. Nella scuola pubblica si è volti a creare un gruppo, è un lavoro collettivo, sebbene questo richieda l’impegno di ogni singolo alunno, l’obiettivo è quello di creare un grande cartellone sonoro».

Quanto è diffuso nelle scuole pubbliche italiane l’uso di uno di strumento? Si può fare di più?

«Io lavoro nella scuola primaria e l’introduzione alla musica dei bambini è ritenuta molto importante. Le attività che si possono svolgere sono quelle del canto, del flauto e di strumenti a percussione. in questo contesto è meglio prediligere strumenti più semplici che permettano ad ogni singolo bambino di fare l’esperienza musicale, a prescindere dalle singole attitudini. Quest’attività è molto apprezzata perché aumenta il livello di concentrazione e di autostima, ciò può portare giovamento anche alle altre materie. Per quanto riguarda la scuola secondaria di primo e secondo grado, c’è un numero sempre crescente di istituti ad indirizzo musicale anche se vorrei che questo fosse accompagnato da un numero sempre crescente di orchestre e sale da concerto, cosa che per ora non si vede all’orizzonte».

Hai esordito con l’album “Under the ice”, poi sei passata a “Operauno” “Luna nuova” e infine a “The shadows playground”, senza contare le partecipazioni a progetti di altri colleghi, festival internazionali, radio, premi web… Parlaci un po’ di questo tuo percorso. É stata una maturazione?

«Sì, di certo lo è stata. Ho cominciato a comporre musica non appena ho imparato a suonare uno strumento, è stato un processo naturale. All’inizio penso di essere stata spinta dall’ammirazione per i grandi compositori ma poi credo sia diventato semplicemente un canale di comunicazione, qualcosa con cui potevo esprimermi liberamente. Mi sono sempre sentita molto a mio agio a descrivere emozioni o a raccontare una storia attraverso la musica. I miei studi musicali mi hanno dato i mezzi per dare una forma migliore alle mie composizioni. Senza istruzione il talento trova degli ostacoli, bisogna studiare per sapere quello che si fa e per aprire nuove possibilità alla propria fantasia. In caso contrario si rischierebbe di essere ripetitivi e quindi di esaurirsi presto. Essere consapevoli di ciò che si fa è importante per ogni mestiere, bisogna aggiornarsi, anche su se stessi, perchè la musica è un lavoro che parla di noi e noi cambiamo continuamente e questo fa suonare diversamente la nostra musica, perciò dobbiamo essere capaci di decifrarla e interpretarla con passione. Fare dischi è molto importante perchè permette alla nostra musica di andare oltre le mura di casa e di essere a disposizione di chi vorrà apprezzarla».

“Luna nuova” è dedicato alle problematiche femminili. Quanto incide la musica per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle questioni sociali?

La musica è un acceleratore delle parole. Ha la possibilità di potenziare i concetti e renderli più efficaci, di essere diffusa ed arrivare a tante persone contemporaneamente. E’ un mezzo che deve assolutamente essere utilizzato per il sociale, perché i concetti restano più facilmente nella testa della gente, sotto forma di inni o melodie.

Quali sono i tuoi musicisti preferiti e quelli che in qualche modo hanno influenzato il tuo stile compositivo?

«Sono troppi, potrei dire.. tutti e nessuno. Ho attraversato diverse fasi, da quella rock ‘n roll a quella sinfonica, tardo romantica o barocca, dalla fase Beatles al prog metal, dal pop a Bacharach… di certo non mi ha influenzato il Jazz perchè non l’ho mai ascoltato. Mi hanno influenzato le persone con cui ho studiato e suonato perchè la musica dal vivo, soprattutto quando la suoni, ti permette di starci dentro e di analizzare tutto, di conoscere il timbro degli strumenti, delle voci, lo stile dei musicisti, gli intrecci armonici. L’esperienza musicale posta tanta ispirazione quanto la conoscenza, ossia l’ascolto».

Progetti futuri?

«In progetto c’è un nuovo disco da solista al quale sto lavorando già da un po’. E’ un lavoro lungo e complesso ma spero possa uscire per fine 2024 o inizio 2025. Inoltre sto collaborando ormai in pianta stabile con la compositrice polistrumentista genovese Elisa Montaldo. Siamo al lavoro per un nostro disco e collaboriamo coi nostri studi di registrazione ad altre produzioni discografiche delle quali però, ora non posso anticipare nulla. Oltre alla produzione discografica e compositiva, sto riprendendo l’attività violinistica rivolta al repertorio classico settecentesco e ottocentesco. Di recente ho lavorato con bravi musicisti e pare che questa esperienza avrà un seguito. Spero di invitarvi presto a qualche bel concerto».

Davide Zardo

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