Vigevano, terra un tempo operosa

In una Lombardia dove la maggior parte della popolazione si spezzava la schiena nei campi, Vigevano a metà ‘700 era già una città “operaia”, dove uomini e soprattutto donne lavoravano fianco a fianco nella fiorente manifattura tessile. E’ lo spaccato di un unicum a livello regionale quello che emerge leggendo le pagine di “Vigevano operosa. L’economia urbana dagli Sforza al tardo Ottocento”, volume dedicato a secoli di imprenditoria nella città ducale (dai tempi degli Sforza fino all’800) presentato lo scorso sabato dalla Società Storica Vigevanese nella saletta del Museo dell’Imprenditoria di palazzo Merula, location scelta non a caso dagli organizzatori.

TERRA OPERAIA Eppure, il tema trattato da Giovanni Vigo e Giulio Guderzo, già professori all’Università di Pavia, quello dell’economia vigevanese in età moderna, è di quelli poco “frequentati” dagli accademici: «Con la fine del Ducato e l’inizio del periodo spagnolo si ha l’impressione di un’era di declino, ma non è così – rivela Vigo (nato e cresciuto proprio a Vigevano) – semmai gli spagnoli introdussero un nuovo sistema fiscale che cercava di far pagare le tasse a chi non lo faceva. Lo stato di Milano era piccolo, ma era un punto cruciale di passaggio. In questo Vigevano manteneva una peculiarità: laddove nelle grandi città il consiglio generale era comandato dalle famiglie “patrizie” dei proprietari terrieri, a Vigevano il dominio lo avevano i mercanti». Questo perché a Vigevano, elevata a città senza averne pienamente le caratteristiche (di fatto, non aveva nemmeno un contado), si viveva di manifattura, artigianato e commercio, e non di agricoltura.

Lo storico Del Pozzo – spiega Vigo – ci rivela che solo il 17% degli abitanti viveva di “campagna”, il resto era quasi tutto impegnato nel manifatturiero.

La città ducale all’epoca aveva circa 8mila abitanti ed era una potenza nel tessile: fin dal ‘300 era un punto di riferimento per la lana, da cui si ricavavano i cosiddetti “panni alti”, stoffe pregiate vendute sui mercati di tutta Italia. Nel ‘500 il mercato cambiò e fu la seta a imporsi nei gusti e nelle mode. E gli artigiani ducali impararono a muoversi anche su quel fronte.

DONNE E FOULARD Nel ‘700, Vigevano manteneva il suo status di singolarità: «A metà secolo, la maggior parte della popolazione era impegnata nel manifatturiero. E non solo gli uomini, ma anche le donne erano censite come operaie – svela Guderzo – altrove, la forza lavoro femminile non era considerata e al massimo effettuava solo la fase di trattura (il dipanamento dei bachi da seta, ndr). Qui le donne svolgevano anche la fase di filatura». Poter contare sulla manodopera femminile, e quindi su un maggior numero di lavoratori, era la forza e allo steso tempo la debolezza del sistema ducale: «In Piemonte utilizzavano i macchinari per la filatura, e con i loro organzini pregiati (una particolare tecnica di filato, ndr) rifornivano il mercato lionese. Sotto la torre del Bramante i tessuti erano però più a buon mercato, grazie anche alle paghe basse che prendevano i lavoratori: e così foulard realizzati a Vigevano conquistarono i mercati europei, fino alla Polonia e alla Russia». Centinaia di migliaia di fazzoletti a basso costo prodotti ogni anno ed esportati in tutto il continente: un’eccezionalità che non poteva durare quando Vigevano cadde sotto dominio francese. «Napoleone, influenzato dai mercanti lionesi, aumentò i dazi, chiudendo di fatto il mercato vigevanese – spiega il professor Guderzo – e nell’800 a fatica la città ducale si “piemontesizza”, imparando a fare quello che chiedevano i lionesi».

Alessio Facciolo

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