19 gennaio, II Domenica del Tempo Ordinario

Dopo il Battesimo di Gesù, celebriamo il tempo Ordinario fino al mercoledì delle Ceneri, e la liturgia ci invita a partecipare a una festa di nozze, a Cana di Galilea. Durante il banchetto, la madre di Gesù nota che il vino sta per finire, un dettaglio che potrebbe compromettere l’atmosfera della celebrazione. Con discrezione, si rivolge al Figlio per segnalare il problema. Nonostante l’urgenza della richiesta, Gesù risponde con una certa distanza: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. La sua risposta, pur sembrando distante e poco affettuosa, è in realtà un invito a guardare oltre l’immediato, verso un significato più profondo.

L’episodio va oltre la semplice necessità di vino. Il vino, infatti, simboleggia l’alleanza tra Dio e il suo popolo, un legame che si rinnova attraverso il sacrificio di Gesù. La richiesta della madre, pur derivante da una necessità materiale, esprime un’intuizione profonda: anticipa la missione del Figlio, che è anche il Figlio di Dio.

Il “vino nuovo” che Gesù offre prefigura il suo sangue, che sarà versato sulla croce per la salvezza dell’umanità.

Maria non cerca di imporsi, ma invita alla fede, rivelandosi come una discepola che crede nel progetto divino. Quando dice ai servi: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”, manifesta una fiducia completa in Gesù, simile a quella che il popolo di Israele ripone nel suo Dio. E Gesù, pur accogliendo la richiesta materna, risponde con un miracolo straordinario: trasforma l’acqua in vino, abbondante e di qualità superiore. Questo vino non è solo “buono”, ma “bello”, simbolo della bellezza della fede e della gioia che sgorga dal seguirlo.

Il miracolo di Cana ci invita a riflettere su come affrontiamo i momenti di gioia o dolore, come un matrimonio o un funerale. Se un funerale ci confronta con la sofferenza, la perdita e la nostra finitezza, un matrimonio è un momento di gioia, speranza e promessa. Entrambi, però, toccano profondamente l’anima. In entrambi siamo chiamati a vivere con piena partecipazione, affrontando sia la tristezza che la gioia con spirito di fede. Gesù, infatti, non si sottrae né alla sofferenza né alla festa, ma partecipa ad entrambe con tutta la sua umanità e divinità. Anche noi siamo invitati a fare lo stesso, ad accogliere ogni momento della vita con fede e speranza, vivendo ogni emozione come un’opportunità per ricevere l’amore che Dio ci offre.

Essere discepoli di Cristo significa abbracciare tutta la nostra esistenza, senza paura di vivere tanto il dolore quanto la gioia. Con fede, speranza e gratitudine, accogliamo ogni momento come un’occasione per riscoprire l’amore divino che rende ogni cosa nuova.

Don Paolo Butta

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