Fin dall’inizio della gravidanza, è esperienza comune a ogni mamma lo stupore davanti al dono della vita. E ogni mamma deve imparare nel tempo a pensare che il proprio compito è crescere i figli non per se stessa, ma perché essi vadano nel mondo e contribuiscano coi loro talenti a renderlo migliore. Ma cosa desidera il Creatore del mondo da noi mamme, per noi mamme?

EXEMPLA Guardando all’esempio di Maria e di tante sante che sono state mamme, possiamo intuire che il Signore vuole da noi che ci mettiamo fino in fondo nelle Sue mani, che gli consegniamo il tutto della nostra vita, senza ripiegamenti, e che trasmettiamo anche ai nostri figli quella libertà che consiste nel non continuare a girare intorno a se stessi, ma nel fare amicizia con la logica del dare, non solo dell’avere. In questo senso, allora, noi mamme, dopo aver generato un figlio, dovremo generarlo ancora e ancora, affinché egli prediliga a una visione “rimpicciolita” della realtà uno sguardo più alto, più limpido, più vero, sul mondo, sulle cose, sugli altri, su se stesso. Questo ripetuto “mettere al mondo” significa immettere il figlio in un “mondo altro”.

PUNTI FERMI È il generare alla fede, azione che si compie per le mamme all’interno di un nuovo travaglio: la preoccupazione nel pensare al futuro dei loro figli, il timore che possano incappare in compagnie sbagliate, che non trovino un lavoro, il dispiacere perché la loro vita non riesce a decollare sul versante affettivo, la sofferenza nel vedere che nel cuore dei figli non c’è la pace che fa affrontare con fiducia anche le situazioni più difficili, il rammarico che nella vita dei figli manchino punti fermi o la fatica ad accettarli in un mondo in cui sincerità, onestà, generosità, mitezza, purezza di cuore, giustizia, capacità di amare veramente sembrano tutti valori ormai sorpassati. A noi mamme è richiesto di non stancarci di “nutrire” i nostri figli affinché essi possano assorbire da noi quei “nutrienti” di cui noi per prime ci dobbiamo nutrire e che si trovano in un cuore capace di amare. Viceversa, se il nostro cuore è arido, i nostri figli lo sentiranno e noi non li aiuteremo a crescere.

Anche se essi cercheranno di colmare in altri modi questa carenza d’amore, sarà mancato il tassello fondamentale: quello materno.

DIETA SOLIDALE Ma cosa diamo da “mangiare” ai nostri figli, se essi si accorgono che non c’è amore nei nostri gesti, se percepiscono che pensiamo prima a noi stesse, se non ci sentono mai chiedere scusa dopo una discussione, se non ci vedono mai pregare e accettare con pazienza le contrarietà della vita? Se non daremo loro “il pane” del nostro tempo né il “cibo” del significato che li aiutino a formarsi dentro e ci limiteremo a riservare loro solo qualche “briciola” di superficialità, difficilmente impareranno cosa significhi la gratuità e noi mamme rinunceremo a essere – come espresso da papa Francesco – «l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico». E se talvolta ci viene spontaneo chiederci dove abbiamo sbagliato (domanda che è bene porsi), dobbiamo sempre ricordarci di consegnare noi stesse e i nostri figli a Gesù. Se avremo “nutrito” bene i nostri figli, non dovremo aver paura, ma dovremo sperare che il “cibo buono” sia conservato nel profondo del loro cuore e che prima o dopo possa tornare a dare “sapore” alla loro esistenza.

Daniela Piemontino

1«Dai Mamma, raccontami una storia… la tua»

Enza Brandolese

Mamma raccontami una storia, la tua storia. «Avevo il sogno di diventare mamma, anche se non si nasce con l’indole materna, ci si diventa». E ora sei felice? «Sono felice di quello che ho adesso. Perché lascio a te una parte di quello che sono io, una sorta di continuità. Mia mamma, la nonna Rosa, ha cresciuto due figli da sola. L’infanzia l’ho passata con mio fratello Alessandro. Ho vissuto in una famiglia umile, i sogni erano tanti, ma le possibilità economiche poche». Quali erano? «Mi sarebbe piaciuto imparare a suonare uno strumento musicale, il pianoforte, ma non ho avuto nessuno che mi ha stimolata». E poi?

Avrei voluto fare sport, magari il tennis. Andavo solo nei giardinetti pubblici a giocare. Però mi immedesimavo nei cartoni che guardavo in tv e giocavo con una vecchia racchetta di legno che avevo in garage.

Avevi tanti amici alla mia età? «Sì, ci trovavamo nel campo dietro casa, ci divertivamo con poco, prendevamo delle pannocchie dai campi e le arrostivamo. Facevamo i mercatini per strada con i giochi che avevamo, per recuperare qualche soldo. Per lo stesso motivo vendevo delle cartoline in un bar vicino a dove abitavo». Cosa direbbe la Enza piccola alla persona che sei oggi? «La Enza piccola direbbe che ho avuto tanto amore. Pochi soldi, qualche sogno non realizzato, ma tanto amore». E cosa diresti a me oggi? «Di guardare la vita con il sorriso, bisogna vedere il bicchiere mezzo pieno, vivere la vita fino in fondo con gioia, energia e grinta. Mai fermarsi nemmeno davanti alle difficoltà. La vita è troppo breve per essere sprecata». Grazie mamma.

Giulia Drago

2«Tagliamo il cordone, ma qui ci son le cialde»

Luisa Stabile

La mattina dell’intervista, mia madre mi ha svegliato con la foto di un leprotto nel giardino di casa. Un paio di ore dopo, al telefono, mi stava gridando dietro, rinfacciandomi per l’ennesima volta di non essermi mai laureato. Il rapporto tra madre e figli, d’altra parte, è quasi sempre un sistema di contrappesi, equilibrismi, contraddizioni.

«Per essere mamma di due maschi bisogna essere presenti senza essere invadenti, soprattutto nella sfera affettiva» racconta, dall’alto della sua esperienza ormai pluritrentennale. Spoiler: non ci è mai riuscita. «Lo so» ammette candidamente, ma bisogna dire che non ha avuto un compito facile. «I maschi vanno e vengono, sei sempre preoccupata, sai che stanno mentendo, ma non sai mai su cosa» rincara la dose, prima di tirare in ballo di nuovo roba di vent’anni prima, tra ripetizioni saltate ed esami mai passati.

Ma cosa dirle? Quella roba, in fondo, eravamo io e mio fratello. «Vivere con i maschi non è facile… soprattutto quando capisci dal loro stato d’animo che c’è qualcosa che non va, ma non ti lasciano entrare, non puoi entrare. Ho cercato di seguire il consiglio che una psicologa mi ha dato anni fa: bisogna tagliare il cordone ombelicale». Riuscendoci? «No, ma almeno non sono di quelle mamme che continuano continuamente a baciare i figli anche da grandi». Non resisto: «Veramente non l’hai mai fatto neanche quando eravamo piccoli…». E via di nuovo con accuse di ingratitudine e rimbrotti vari. «A proposito… ti servono le cialde del caffè?». Sì… grazie mamma.

Alessio Facciolo

3«Eccomi, i nostri valori vivono nei vostri gesti»

Anna Pellecchia

Ciao mamma, questa è l’intervista più difficile che io abbia mai fatto finora, perché tu sei morta nel 2016 e io ogni tanto parlo coi morti, ma loro non rispondono mai. Volevo sapere cosa ha significato per te essere madre.

«Ma certo che ti rispondo. Il tuo arrivo è stata una doppia gioia, perché l’anno prima avevo avuto un aborto spontaneo. Volevamo chiamarlo Samuele, ed è il nome che in seguito tu e tua moglie avete dato a vostro figlio. Poi, sette anni dopo la tua nascita, è arrivato il piccolo Simeone. Ho cresciuto te e tuo fratello, anzi vi abbiamo cresciuto, io e vostro padre, con la formazione dei valori cristiani e umani, dando importanza al rispetto, alla gentilezza, alla responsabilità e alla cultura». Già, la cultura; era in ogni angolo. «In casa, con la professione di cantante lirico di papà, si respiravano arte, musica, letteratura. Grazie alla piccola libreria che avevo messo insieme comprando un po’ alla volta i tascabili in edicola, avete iniziato molto presto, soprattutto tu, a leggere grandi classici al di fuori della scuola: Dante, Pirandello, Hemingway. E questo, a me che avevo fatto la maestra, non poteva fare che piacere.

Vi ho educato alla gentilezza, a dire “per piacere, grazie, scusa”. Vi ho insegnato a distinguere il giusto dallo sbagliato». Queste lezioni sono rimaste, sai? «Devo dire che siete venuti su bene. E poi abbiamo amato le vostre mogli come se anche loro fossero nostre figlie. Per me essere madre è stato vedere crescere due ragazzi che sono diventati uomini responsabili, e che porteranno avanti i valori nei quali sono cresciuta anch’io».

Davide Zardo

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