14 aprile, terza domenica di Pasqua

In questa terza domenica di Pasqua continua l’impegno di Gesù a far comprendere ai discepoli che non avevano a che fare con un fantasma, ma con lui, il crocifisso risorto. Disponibile e misericordioso, Gesù mostra ancora una volta i segni della crocifissione: le mani, i piedi; ma l’incredulità dei discepoli è sempre più forte. Non mi sento di biasimarli, nemmeno Gesù lo fa e proprio per convincerli usa tre mezzi: il primo è il mangiare davanti a loro compiendo così quel gesto che più accomuna le persone. Sappiamo che il mangiare per noi cristiani è il sacramento della comunione con Dio.

L’uomo moderno crede di poter fare da solo, senza l’aiuto di Dio perché pensa che quando tutta va bene sia “merito mio” e quando tutto va male sia colpa di Dio.

Il secondo segno che Gesù usa è il richiamo al compimento delle Scritture attraverso l’espressione «non bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me» cioè che il Cristo patisse e risorgesse dai morti il terzo giorno come è stato scritto su di lui nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi? Anche noi molte volte facciamo fatica a riconoscere il Cristo sofferente e risorto: anche noi poco avvezzi alla Scrittura perché non prendiamo mai in mano né la Bibbia né i salmi non sappiamo accettare la logica di un Dio che si dona e basta. E che dire sempre di noi, osservatori a nostro modo di quanto ci interessa o riusciamo a fare della legge di Mosè (i famosi dieci comandamenti) mettendo in pratica questi strumenti per vivere in pienezza il comandamento dell’amore? Anche noi, come i discepoli, facciamo fatica ad accettare un Dio così: un Dio che passa attraverso la sofferenza, l’umiliazione, un Dio che sceglie il silenzio durante il processo sia nel sinedrio sia davanti a Pilato, un Dio che sulla croce non risponde pur avendo tutte le ragioni per controbattere a tutte le accuse e non scende dalla croce perché l’unico modo per salvarci è compiere le Scritture e passare attraverso il dono di sé. Il terzo segno che chiede il Signore risorto è il predicare a tutti i popoli la conversione ed il perdono dei peccati. Anche Pietro nella prima lettura è capace di rimproverare i suoi contemporanei perché hanno ucciso il Signore: ma il vero modo per riacquistare la fede dei fratelli è iniziare a convertire noi stessi, a cambiare vita, perché, come diceva San Giovanni nella seconda lettura, la gente riconosce il Signore solo se noi osserviamo i suoi comandamenti per non essere bugiardi e così avere in noi la verità.

Se poi riuscissimo anche a gioire perché cristiani, avremmo conquistato anche chi è stanco di credere o chi non partecipa più alle nostre celebrazioni: perché la gioia di chi crede nel Signore risorto è più contagiosa del precetto che ancor oggi vogliamo assolvere. Non siete d’accordo?

don Renato Passoni

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