«Beati quelli che piangono, perché saranno consolati». È la seconda beatitudine insegnataci da Gesù, come leggiamo in Mt 5,4. I due termini principali, pianto e consolazione, agli occhi degli antichi Padri generavano tuttavia una lettura potremmo dire più spirituale, che suonava loro così: «Beati quelli che hanno il pianto (pénthos), perché riceveranno il Consolatore (parákletos)». Questo pianto era per loro lo scorrere delle lacrime causato dai peccati che il credente riconosce in sé, il segno sensibile dell’afflizione che punge e addolora il cuore, detta anche compunzione:
Dio non ha fatto l’uomo per i pianti, ma per la gioia e l’allegrezza, affinché lo glorifichi con la sua purezza e la sua impeccabilità. Ma, essendo caduto nel peccato, l’uomo ha avuto bisogno delle lacrime di compunzione (Detti e fatti dei Padri del deserto).
RINUNCIA Siamo nella quarta settimana di Quaresima, e la vicinanza della Pasqua ci dà occasione per ravvivare in noi lo spirito iniziale di questo tempo santo: lo spirito della penitenza. L’espressione “penitenza quaresimale” ci rimanda subito al digiuno, all’astinenza, alla mortificazione, alla rinuncia, ma non va lasciata in ombra la causa ultima di questo esercizio materiale e spirituale, e cioè il nostro essere peccatori. È proprio la considerazione del nostro agire «contro il cielo» (Lc 15,18) che ci deve spingere alla contritio cordis, a quella contrizione del cuore che equivale a un tritare e frantumare la durezza di quest’ultimo, (ecco il senso del battersi il petto), a un piangere sui nostri peccati che hanno causato sofferenza e male ai fratelli e soprattutto al Dio che tanto ci ama, fino a morire per noi sulla croce.
IL PIANTO Nel vecchio Missale Romanum, frutto della riforma operata dal Concilio di Trento, tra le varie Messe era contemplata anche quella “Pro petitióne lacrimárum”. Le lacrime qui invocate sono espressione di un pianto fisico e spirituale insieme, causato dalla consapevolezza dei nostri peccati. Un pianto benefico perché “lava i peccati e affretta il perdono” (Isacco di Nìnive). Se non c’è dolore per i nostri peccati, ogni penitenza risulta di fatto ipocrita, farisaica, inefficace: “Il fariseo pregava così tra sé: «Io digiuno due volte alla settimana e offro le decime di quanto possiedo». Il pubblicano invece si batteva il petto… «Vi dico che questi tornò a casa giustificato, l’altro invece no» (Lc 19,12-14). Nei detti dei Padri del deserto leggiamo: «Un fratello domandò a sant’Antonio abate: “Che cosa devo fare per i miei peccati?”. “Chi vuol essere liberato dai peccati”, rispose, “lo sarà con i lamenti e le lacrime; chi vuol progredire nell’edificazione delle virtù progredirà con i pianti e le lacrime. La stessa lode dei Salmi è un gemito”. Ricordati dell’esempio di Ezechia, re di Giuda, come sta scritto nel profeta Isaia (38,5-6): piangendo, non solo ritrovò la salvezza ma meritò di vivere quindici anni di più, e grazie al flusso delle sue lacrime la potenza del Signore abbandonò alla morte l’esercito nemico che arrivò forte di centottantacinquemila uomini».
L’apostolo Pietro ritrovò piangendo quello che aveva perduto rinnegando il suo Maestro. La peccatrice presente al banchetto in cui Simone il lebbroso aveva invitato Gesù, dopo aver bagnato di lacrime i piedi del Signore, meritò di sentir dire che le erano perdonati i suoi molti peccati”.
IL PENTIMENTO Altri luminosi esempi di meditazione sulla gravità dei nostri peccati e del pianto benedetto che fa scendere in noi la consolante dolcezza del perdono, costellano la storia della spiritualità cristiana, soprattutto nei testi dei Padri del primo millennio. Di toccante bellezza è il breve scritto “Le lacrime di Adamo”, opera del santo monaco Silvano del Monte Athos (1866-1938) dove leggiamo: «Adamo, padre dell’umanità, in paradiso conobbe la dolcezza dell’amore di Dio; così, dopo esser stato cacciato dal paradiso a causa del suo peccato e aver perso l’amore di Dio, soffriva amaramente e levava profondi gemiti. La sua anima era tormentata da un unico pensiero: “Ho amareggiato il Dio che amo”». E sant’Andrea di Creta, (660-740) vescovo di questa città, molto tempo prima compose il grande Kanon Pokajanen, un Canone Penitenziale di eccezionale bellezza e ricchezza spirituale. Anch’esso si apre con un lamento, il lamento di Adamo: «Anima mia, col tuo corpo vieni a glorificare il Creatore di ogni cosa. La saggezza ritrova, e a Dio presenta lacrime di pentimento».
LE TENTAZIONI Dobbiamo però fare ancora un passo, e chiederci quali opere di conversione sono necessarie affinché la nostra contrizione giunga a buon frutto. All’inizio della Quaresima la Chiesa proclama attraverso il vangelo una chiara triade operativa: digiuno, carità e preghiera, che in fondo sono la risposta di fede alle tre tentazioni di Gesù nel deserto: piacere (= mangiare), avere (= possesso egoistico), potere (= non sottomettersi a Dio). Ma si può percorrere anche quest’altra via: contrapporre al piacere la castità, all’avere la povertà, al potere, l’obbedienza. E la Pasqua ci trasfigurerà.
don Alberto Fassoli