Il vescovo Juan Caramuel, l’architetto barocco delle lettere 

Quando si parla di Juan Caramuel y Lobkowitz (1606-1682), vescovo e mente eclettica del  barocco, si entra in un labirinto di sapere dove matematica, teologia, musica, linguistica e tipografia s’intrecciano. Caramuel —  il cui anniversario della morte ricorre domenica 7 settembre — non fu soltanto un teologo e un “casuista” (spesso accusato di lassismo morale), ma anche un visionario della tipografia.

STAMPA E ARMONIA Nel Seicento l’arte della stampa era ancora giovane, ma già stava cambiando il mondo: i libri correvano veloci come messaggeri instancabili, e Caramuel capì che la forma stessa delle lettere e delle pagine non era un fatto neutro, ma parte del messaggio. Egli si pose una domanda ardita: come rendere universale e armoniosa la scrittura stampata? Non si accontentava dei caratteri tradizionali: studiò proporzioni geometriche, cercò di unificare estetica e funzionalità, arrivando a proporre un sistema di stampa capace di rendere leggibile ogni lingua, quasi una proto-utopia della comunicazione universale. In questo, Caramuel anticipa le grandi ossessioni moderne: l’idea di un carattere tipografico perfetto, il sogno di un linguaggio comune, la tensione tra arte e tecnica. E poi c’è la sua mania per il barocco combinatorio: i caratteri tipografici diventano non solo segni ma moduli, elementi di un gioco infinito, quasi una scacchiera del pensiero. Caramuel vedeva nella stampa un ponte tra l’invenzione e la memoria, tra la matematica della forma e la musica della parola. Insomma, il suo contributo non è da leggere solo come un capitolo di storia tipografica, ma come un gesto poetico e visionario: la stampa non come mera riproduzione, ma come architettura della mente.

TIPOGRAFIA VESCOVILE A Vigevano, dove l’Archivio diocesano conserva ancora molti volumi, Caramuel fondò tra il 1674 e il 1681 una tipografia vescovile affidata allo stampatore milanese Camillo Corrada, provvista di caratteri latini, greci, ebraici, siriaci, arabi, etiopici. Immaginiamo i torchi antichi, le lettere mobili disposte con cura, la polvere d’inchiostro sospesa in quiete. Corrada era lì, a tallonare ogni suono di stampa, trasformando pensieri e lodi in fogli che ancora oggi sussurrano la loro storia attraverso il tempo. L’interesse di Caramuel per la tipografia è documentato dall’opera Syntagma de arte typographica (Lione, 1664): un opuscolo di 15 pagine in cui egli tratta molti temi: scrittura, carta, arte tipografica, uomini addetti, generi di caratteri, stampa a due colori, dedicatoria, prologo e indici, licenza e censura, bozze, esemplari, lavoro dei tipografi, correzione apostolica, limiti della tolleranza. Caramuel fu un maestro di fama universale dell’arte tipografica, poiché i precetti fissati nel Syntagma, in un’epoca in cui non esistevano opere similari, ebbero larga diffusione in quasi tutti i Paesi d’Europa. Caramuel sognava libri che fossero città di carta, dove lo sguardo del lettore cammina come un viandante. Un’urbanistica del pensiero, fatta di righe e margini, piazze bianche (gli spazi), vicoli scuri (le note a piè di pagina), piazze solenni (i capitoli). In fondo, Caramuel ci lascia un messaggio ancora attuale: le lettere non sono solo strumenti, ma forme viventi. E chi stampa non copia, ma costruisce mondi.

Davide Zardo

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