«L’oscura cavità s’illumina e, in quella luce, un sorriso, un gesto di accoglienza. È una giovane vestita di bianco. La bianca fanciulla passa i grani tra le dita, ma senza muovere le labbra. Al termine del rosario scompare. Ed ecco di nuovo la grotta oscura, il cielo grigio, la pioggerella, il tempo minaccioso». Così l’autore del libro “Bernardette di Lourdes ci parla ancora”, vuole immergerci nella profondità della tenerezza di Lourdes. La grotta è il segno di speranza per tanti cuori, in modo particolare per coloro che vivono in malattia e solitudine.
OCCASIONE Nell’anno Giubilare papa Francesco, nel messaggio per la XXXIII Giornata del malato, invita a farci «pellegrini di speranza». Sono di conforto le parole del Papa che invita a vedere nelle infermità che ci circondano un’opportunità d’accogliere, un mezzo per incontrare il Signore. Scorgere la luce dentro le ferite è un suo dono, ma ognuno è chiamato a essere un’occasione luminosa di fraternità. La malattia diventa l’occasione di un incontro che cambia, ci scopriamo fragili. La stretta connessione tra Lourdes e la sofferenza è il motivo per il quale tanti, credenti e non, intraprendono il viaggio verso la Grotta di Massabielle; lì nessuno si sente rifiutato. L’amore non ha limiti, specialmente quello di una madre. In Maria questo amore ha un nome: Gesù, «Il quale andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo». (Mt 4,23). La disumanizzazione di ogni malattia è l’isolamento, da cui dobbiamo chiedere di essere liberati.
CREDENTI CREDIBILI Senza cura e compassione, l’umano scompare. Dobbiamo fare spazio alla fragilità e alla vulnerabilità, elementi che permettono a Dio e al prossimo di prendersi cura di noi. Eloquente è l’immagine del samaritano, per lui nulla era più importante di quell’uomo incappato nella furia dei briganti, questo rende il mondo più umano e quindi divino. Tutti noi, siamo una scintilla di Dio e se ci prendessimo cura in modo vicendevole parleremmo di Dio senza predicare. «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri». (Gv 13, 34-35). La Parola rende presente Cristo per mezzo della Carità. L’attenzione alla “carne di Cristo”, lacerata dalla sofferenza ci rende come Chiesa più credibili. Don Tonino Bello scrive:
Se la fede ci fa essere credenti e la speranza ci fa essere credibili, è solo la carità che ci fa essere creduti.
I PICCOLI E IL BENE Il tempo accanto al sofferente è un tempo santo e santificatore, ci rende come Gesù. La carità ha bisogno di tempo, scrive Francesco. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli. Lourdes è il tempo della cura, dell’ascolto di una carezza sul cuore; è il tempo di una promessa: «Non vi prometto di farvi felice in questo mondo, ma nell’altro». Possiamo farla nostra questa frase: non in questo mondo! Allora, accorgiamoci di esistere, passiamo dagli schermi ai volti, dai tasti ad accarezzare le mani, insomma, so che tu esisti! E la tua esistenza m’interroga ed è per me un pezzo di paradiso. La testimonianza di Bernadette tuona in ogni esistenza credente: «Ti benedico, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli». (Mt 11, 25). Il cuore dei “piccoli” è un cuore che vede e si prende cura. «Gli occhi percepiscono nella debolezza una chiamata di Dio ad agire – scrive papa Francesco nella lettera Samaritanus Bonus – riconoscendo nella vita umana il primo bene comune della società […] Per questo la Chiesa è sempre lieta di collaborare con tutti gli uomini di buona volontà, con credenti di altre religioni o non credenti, che rispettano la dignità della vita umana, anche nelle sue fasi estreme […] e rifiutano ogni atto ad essa contrario». L’11 febbraio, anniversario della prima apparizione della Vergine, è il giorno della compassione, della vicinanza, è il giorno del cuore, del cuore che “vede”, appunto. Il segno di speranza è vedere anche il tanto bene che c’è nel mondo, il tanto bene silenzioso, ma tenace della cura, accorgersi di questo, fa tanto bene al cuore. «È necessario – afferma il pontefice in “Spes non confundit” – quindi, porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza. Ma i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza».
don Christian Baini, assist. dioc. giovani Oftal