Quando la legge tutela la Fede : libertà d’espressione o religiosa?

L’episodio dello spot pubblicitario che nei giorni scorsi ha mosso le coscienze coinvolge non solo in qualità di credenti ma, prima di tutto, in qualità di cittadini poiché comporta una riflessione sul rapporto tra due diritti fondamentali della democrazia, così come sanciti anche dalla Costituzione: la libertà religiosa (art. 19) e la libertà di espressione (art. 21). La questione è comprendere se una delle due libertà sopra citate possa, e in quali casi, essere limitata a favore dell’altra, sulla base delle pronunce normative e giurisprudenziali.

DIMENSIONE INTIMA L’interpretazione giurisprudenziale della norma sulla libertà di espressione ha posto quale limite a questa una serie valori, cui accordare la preminenza in caso di conflitto con questa. Tra questi, la Corte Costituzionale ha individuato anche il sentimento religioso, inteso come modalità di espressione della credenza del singolo (cfr. Corte Cost. sent. 14/1973), al punto da definire il vilipendio della religione come lo “scherno […] che costituisce […] ingiuria al credente (e perciò lesione della personalità)” (cfr. Corte Cost. sent. 188/1975). Per i Giudici il fenomeno religioso è da tutelare non nel proprio aspetto sociale, ma quale espressione dell’intimità dell’individuo. Questa è la dimensione che deve considerarsi dal punto di vista giuridico quando si rapporta la libertà religiosa alla comicità, ossia quel fenomeno comunicativo che ridicolizza o sbeffeggia persone o istituzioni, suscitando ilarità.

GRAVE E INEVITABILE Affinché questi mezzi di espressione del pensiero, giuridicamente protetti, subiscano una limitazione in relazione alla libertà religiosa devono essere valutati come irrispettosi, qualifica che si dà solo indagando due aspetti. In primo luogo la gravità, legata all’oggetto dell’ironia. Più si ironizza su un tema legato alla personalità di un individuo, più l’ironia è irrispettosa. Secondo: l’inevitabilità dell’offesa arrecata, collegata al mezzo di diffusione di questa. Considerando questi elementi, sulla base dei pronunciamenti della Corte Europea dei Diritti dell’uomo, circa la gravità vi sono due soluzioni. Da un lato, se oggetto di critica – o comicità – è il contenuto oggettivo di una confessione o una ideologia nei propri dogmi, non sussiste un limite al diritto di espressione, perché lo scontro rimane sul piano astratto e ci si trova di fronte ad una manifestazione di pensiero, nel caso contrario a quello religioso – ad esempio un libro di un ateo che argomenta contro l’esistenza di Dio – (cfr. Ginewscki vs Francia, 2006). Al contrario, se oggetto dello scherno sono i riti – o le manifestazioni – mediante i quali la fede viene espressa dal singolo o dalla comunità – nel caso dello spot, la celebrazione eucaristica –

allora prevale la tutela della libertà religiosa, poiché è messo alla gogna un aspetto intimo della personalità dell’individuo credente. In questo caso la libertà di espressione è limitabile (cfr. Otto-Preminger-Institut vs Austria, 1994).

LIMITI Altro aspetto è che nel caso di uno spot pubblicitario che ironizza irriverentemente su una manifestazione del culto di una religione, giusta e legittima è la richiesta di ritiro all’autorità, poiché tale mezzo di espressione, benché comico, risulta inevitabile nel proprio impatto. Infatti lo spettatore di programmi televisivi si “trova” a contatto con questo indipendentemente dalla propria volontà. In conclusione, secondo le linee giurisprudenziali nazionali e sovranazionali, la libertà di espressione non è assoluta ma trova dei limiti, tra i quali la libertà del singolo di esprimere la propria fede, libertà che non può essere dileggiata senza violare il disposto della Costituzione.

don Paolo Lobiati

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