«Un papato in nome della fratellanza e della solidarietà universale»

Arriva direttamente dalla Città del Vaticano, la testimonianza di mons. Paolo Scevola, responsabile dell’Ufficio informazione e documentazione della Segreteria di Stato vaticana. A Roma, mons. Scevola è anche notaio attuario del Tribunale ecclesiastico vaticano .

La notizia della morte di Papa Francesco ci coglie di sorpresa. Ho ancora impressa l’immagine del Papa che, poche ore prima, si è affacciato su Piazza San Pietro per benedire Roma e il mondo nel giorno della Resurrezione del Signore. Non avremmo mai immaginato che quel momento sarebbe diventato l’ultimo saluto alla Chiesa universale. L’ultimo gesto di Francesco per incontrare la sua gente, con quella forza che ha sempre superato la fragilità del corpo. “Cristo è risorto! In questo annuncio è racchiuso tutto il senso della nostra esistenza, che non è fatta per la morte ma per la vita!”, ha detto. L’eco di queste parole sembra ancora risuonare tra le colonne della Piazza, dove il suo popolo si sta radunando per abbracciarlo e salutarlo.

Pasqua 2021 messaggio vescovo Gervasoni - Risorto

Il riconoscersi fratelli è certamente una delle direttrici fondamentali del Pontificato di Francesco. Ricordo l’omelia che Egli pronunciò in occasione della visita a Lampedusa. Era l’8 luglio 2013, appena quattro mesi dopo l’elezione. “Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri”, aveva dichiarato dalla piccola isola del Mediterraneo, da cui si è levato il grido di dolore dei nostri fratelli e sorelle migranti. Non siamo capaci di custodirci gli uni gli altri e mi includo anch’io. Con Lui, abbiamo imparato a riconoscerci peccatori e, ancor più importante, a essere cristiani misericordiosi in una Chiesa povera e umile, che non può mai stancarsi di stendere le braccia agli ultimi.

E abbiamo imparato a non stancarci di chiedere perdono per coloro che si sono chiusi nel proprio benessere, giungendo a quell’anestesia del cuore che rende difficile riconoscere la sofferenza altrui.

La violenza che abita nel cuore umano si manifesta, come ci ha mostrato Papa Francesco, anche nella malattia della nostra Terra, che “protesta per il male che le provochiamo”. Da qui sono derivati i costanti appelli del Papa al dialogo per riflettere insieme sulla costruzione della nostra Casa comune, altra grande direttrice del suo Magistero. La crisi ambientale riguarda tutti perché nostra è l’indifferenza generale che ostacola soluzioni concrete. Con Lui abbiamo imparato che la fratellanza si accompagna al bisogno di una nuova solidarietà universale: tutti siamo chiamati a riparare il danno dell’uomo alla creazione di Dio.

E ancora Francesco è stato costruttore di pace. Nel discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede di quest’anno, il Papa ha espresso l’augurio che il Giubileo diventasse per cristiani e non un’occasione per ripensare le relazioni non solo tra esseri viventi, ma anche tra comunità politiche. Con Lui infatti abbiamo compreso che la pace vera non si ferma ai tavoli dei compromessi umani, ma è il dono di Dio a un cuore disarmato, che si mette in relazione. Oggi, a Giubileo non concluso, abbiamo la comune responsabilità di portare avanti questo desiderio di una logica dell’incontro contro la dilagante tendenza dello scontro: essere pellegrini di speranza significa anche essere costruttori di un futuro di pace.

Oggi, in questo momento di profonda tristezza, voglio ricordare la preghiera che Francesco ha elevato al Signore per questo nostro mondo lacerato: ritrovare il cuore. E ritrovare il cuore è stato, a ben guardare, un richiamo costante fin dagli inizi del suo Pontificato. “Alla fine della vita – aveva scritto nell’ultima Lettera Enciclica Dilexit nos – conterà solo questo”. Nella Pasqua di Resurrezione, sono certo che, alla fine del suo pellegrinaggio terreno, il nostro amato Santo Padre si sia stretto nelle braccia del nostro Padre Celeste.

mons. Paolo Scevola

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