Deserto che fiorisce e diventa giardino. È la reale prospettiva di beatitudine che la Resurrezione di Cristo offre all’uomo di oggi. Lo ha sottolineato il vescovo Maurizio Gervasoni nell’omelia pronunciata durante la Veglia pasquale, sabato sera, in Cattedrale.
Nel commentare la narrazione della storia della Salvezza e l’annuncio evangelico della Resurrezione di Cristo, il pastore della Chiesa vigevanese ha richiamato l’immagine simbolica del giardino, un’immagine che attraversa tutta la vicenda umana e che è il luogo della realizzazione della storia della Salvezza. Nel Paradiso terrestre, il giardino che è il luogo della felicità in Dio, iniziò infatti la vicenda umana; nel giardino del Getsemani Gesù fu tradito e offeso; nel giardino del Golgota Gesù fu messo a morte.
«Il Giardino – ha spiegato il Vescovo – è l’immagine della vita buona, quella fatta di relazioni pacifiche e abbondanza di beni, serenità e pace. È la condizione della Salvezza». Cosa ben diversa dalla realtà umana attuale, «tutt’altro della dura vita che si sperimenta ogni giorno, che invece è deserto».
TROVARE LA PACE Monsignor Gervasoni ha fatto notare che significativamente Dio pose i nostri progenitori in un giardino. Per un nomade, cui si rivolgevano le antiche Scritture, abituato a vivere nel deserto, l’oasi era la cosa più bella. Il giardino, appunto. Dove trovare la pace e tutto ciò che serve ad una vita buona. Il luogo del riposo sereno.
Il riposo, appunto. Un altro passaggio importante nella riflessione pasquale del Vescovo. Sempre nel racconto della Creazione: dopo sei giorni di lavoro, Dio ordinò all’uomo di riposare nel settimo giorno. «Il Signore comanda di riposare. Come mai?» si è domandato il Vescovo.
PARADOSSI L’interrogativo nasconde un paradosso e una possibilità. Il paradosso è quello dell’uomo contemporaneo, che pare incomprensibile. All’inizio della sua omelia, infatti, monsignor Gervasoni aveva evidenziato come l’evento della Pasqua – Gesù che risorge dai morti – non è più sentito come particolarmente importante dalla gente». Di cosa dunque ha bisogno l’umanità di oggi per «scaldare il cuore»? Ciò che accade è molto strano, ha detto il Vescovo. «Gesù ha vinto la morte e agli uomini del XXI secolo la cosa non interessa». Corrono invece a riempire gli stadi per una rockstar che vende illusioni…
Forse, l’uomo di oggi «non sogna l’oasi?». Un paradosso, risultato di una volontà che ben conosciamo. «L’uomo – ha detto il Vescovo – per essere veramente contento deve poter decidere lui cosa è bene e cosa è male. Ma è proprio perché ha mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male che è stato scacciato dal Giardino». Se non vuole seguire il disegno di Dio, vada pure per conto suo, si goda quello che è capace di fare. «E il risultato è la morte» ha concluso lapidariamente, ma realisticamente, monsignor Gervasoni. Il mondo migliore che l’uomo si sforza di cotruire è fatto di contrasti, guerre, miseria, odio. Della pace, nessuna traccia.
TERRA PROMESSA Ma c’è una “terra promessa”. La possibilità, appunto. Perchè nel deserto dell’indifferenza umana c’è la terra promessa da Dio: è l’icona del giardino, una terra dove “scorre latte e miele” e «in essa vivono fecondità, abbondanza e pace».
Il Vescovo, però, ha sottolineato che «la terra promessa è possibile all’uomo solo se egli nel cuore ha la legge di Dio; se nella terra promessa non vuole cercare l’affermazione della sua volontà di potenza e di egoismo». L’idea della terra promessa richiama invece la figura di Abramo, «che lascia la sua terra per andare dove Dio lo manda, dove troverà terra, discendenza, beatitudine e benedizione». Il coraggio di cambiare propositi e intenzioni, aderendo a quelle, buone e piene di amore, di Dio.
L’immagine del giardino si ripropone all’uomo nell’esperienza di Cristo, per il quale il giardino però è stato luogo di sofferenza. Ma è stato il luogo in cui ha accettato la volontà del Padre: «nel giardino del Getsemani Gesù non si sottrae alla volontà del Padre, non fa secondo la sua volontà di potenza, ma osserva fino alla fine la volontà di Dio» ha spiegato il Vescovo. Ciò che Adamo non ha fatto. E si è condannato all’infelicità.
RESURREZIONE Monsignor Gervasoni ha sottolineato che morendo «Gesù lascia che il Padre a conduca la scena. Lui che ha creato il mondo, lui che ama, salverà». Gesù nel sepolcro «si astiene dal fare, riposa, come nel sabato: aspetta che agisca il Padre». Il “luogo” di arrivo è il Regno di Dio. Là è destinato l’uomo nuovo, risorto in Cristo. Ma solo se realizza il superamento del male attraverso l’abbandono della fede, come ha fatto Gesù sulla Croce: si è affidato al Padre.
Il Giardino, che in Cristo si è fatto luogo di sofferenza, nella gratuità dell’Amore e nel servizio esprime la beatitudine del salvato. È un “bene di fatica”, insomma, che «si deve fondare sulla certezza che il Trono celeste è pronto per noi e che tale Trono ha già accolto colui che hanno trafitto, il Signore Gesù». È insomma un giardino diverso da quello che l’uomo da solo immagina.
SALVEZZA DONO DI DIO Abbandono in Dio attraverso la fede e gratuità dell’Amore ci dicono però che la Salvezza «è realtà divina, non umanamente disponibile», non siamo noi a costruirla ma è Dio che ce la dona. «Da questo abbandono al Dio che vince la morte in Gesù – ha ribadito il Vescovo – nasce l’unica vera felicità dell’uomo». Un abbandono che accade nella Chiesa, che è appunto il Giardino. Un abbandono che si realizza nell’Eucaristia, che celebriamo in memoria di Gesù, prendendo la nostra croce e dicendo il nostro “Sì” al Padre. Solo allora il deserto può fiorire e diventare giardino.
Carlo Ramella