«Il mistero della morte di Gesù in Croce non è un avvenimento casuale, ma il culmine del significato del Cattolicesimo»: l’ha detto il vescovo di Vigevano Maurizio Gervasoni venerdì alle ore 18 in Duomo, in occasione del mistero della croce nell’Azione Liturgica.
SENSO DELLA VITA «Lui ha tracciato, in quel momento, il senso della vita, per Lui e per noi». Allora «in Gesù si manifesta il Dio che resta nascosto: prendere posizione per o contro di Lui, significa scegliere il bene o il male. Occorre pensare alla morte: non ci può essere salvezza nell’uomo se non c’è confronto con la morte. Nessuno di noi ha potere che non venga dall’alto». Il Vescovo ha precisato che «i momenti di sosta davanti al Crocefisso ci spingono a capire che l’approccio alla realtà deve essere diverso. Il Regno di Dio rappresentato dal Crocefisso deve farci pensare a cosa sono, davvero, salvezza e felicità. Magari quello che vogliamo è solo un inganno. Occorre leggere in profondità la morte per pensare al senso vero della vita. Perché è proprio nella morte di Gesù che risiede il luogo della salvezza».

LA PROCESSIONE Un messaggio ribadito con forza da monsignor Gervasoni anche in serata, nel corso della processione del Cristo morto. Il corteo con il simulacro di Gesù morto, partito dalla chiesa di San Pietro Martire, ha toccato prima la chiesa di San Francesco e poi il Duomo, per chiudersi infine, nel silenzio, alla chiesetta della Madonna della neve, dove la statua del Cristo rimarrà per tutta la giornata di oggi. Un momento di preghiera intenso e suggestivo, molto partecipato dalla comunità di fedeli della città. «Se Gesù non fosse morto, la morte avrebbe vinto. E invece, visto che Gesù è morto, abbiamo la speranza – ha esordito il Vescovo nel momento di preghiera in cattedrale, facendo una riflessione sul significato della passione del Cristo – Davanti al dilemma della morte ci dobbiamo fermare. In questa processione abbiamo portato per le strade l’effige di Gesù morto alla stessa maniera in cui si facevano i funerali una volta. I funerali di adesso non assomigliano a questa processione: tante pratiche, tante formalità, e poi finisce tutto nel dimenticatoio, se non per i cari del defunto. E invece noi abbiamo portato Gesù per le strade per dire che sua morte tocca tutte persone che vivono in questa città».

IL COMPIANTO «Con la morte, le persone care si avvicinano al defunto e piangono, ricordano – ha proseguito monsignor Gervasoni – questo sentimento avvicina le persone, che creano una comunità di compianto. C’è comunità profonda nel piangere insieme, in una gioia spezzata. Nel compianto ricordiamo Gesù, le sue parole, i suoi sorrisi, i suoi miracoli, i suoi rimproveri ai discepoli, duri ma misericordiosi. Nel compianto esce la memoria grata che la persona ci ha lasciato. In Gesù c’è di più, perché lui è la resurrezione». E queste situazioni di fragilità diventano i luoghi in cui incontriamo Gesù. Ricordando che la «vera vita è quella che si costruisce sulla profonda carità di Dio che Gesù ci ha insegnato».
Isabella Giardini, Alessio Facciolo