Che comunità sono quelle di San Giorgio, Olevano e Velezzo? Lo chiediamo al parroco don Mirko Montagnoli. «E’ gente anziana in buona parte, sono comunità agricole e rurali, lavorano la terra. Le famiglie giovani partecipano, ci tengono, tanto è gestito da loro, aprono e chiudono l’oratorio».
LE MAMME DI OLEVANO A Olevano ci sono più mamme, a San Giorgio più sessantenni. «In entrambi i casi fanno tutto loro: sono molto fortunato, anche se la problematica maggiore consiste nella mancanza di giovani animatori. A San Giorgio il catechismo inizia con la prima elementare e finisce con la prima media, con un crollo numerico significativo, abbiamo in tutto 20 bambini. Una volta avevamo sei battesimi ogni anno, adesso solo uno o due. C’è un disinteresse verso la chiesa, senza genitori che spingano; abbiamo saltato una generazione, e il Covid ha bloccato tanto». Nato il 21 dicembre 1973, ordinato il 5 giugno 2004, curato a Cava Manara e Carbonara e Torre de Torti, don Mirko Montagnoli è stato due anni viceparroco a san Lorenzo a Mortara. Poi parroco di san Giorgio e Nicorvo nel 2008, «con corse in macchina – ricorda – tra nebbia e ghiaccio». Nel 2010 è stato nominato parroco a Velezzo, San Giorgio e Olevano. Nel 2020 gli è stato tolto Olevano (in cambio di Lomello per meno di un anno) dove è tornato il 31 luglio del 2021.
RESPONSABILITA’ Che differenza passa tra essere parroco e viceparroco? «Quella più evidente è la responsabilità, fin che sei curato fai quel che dice il parroco, anche se la comunità ti aiuta, tra chiese e oratorio». Importante l’esperienza a San Giorgio: «Dal gennaio 2009 abbiamo celebrato le messe in oratorio, perchè era stato messo un tirante di sostegno nella navata centrale della chiesa parrocchiale, per non compromettere la stabilità dell’edificio. Poi ci sono stati lavori interni, e in 10 anni sotto il vescovo Baggini abbiamo restaurato la chiesa anche nelle pareti e nelle vetrate grazie alla Cei, alla Cariplo, al Consiglio dei Ministri e alla Regione. La chiesa non era mai stata consacrata, cosa che è avvenuta grazie a monsignor Baggini il 7 ottobre 2012, a 240 anni dalla costruzione».
I PREDECESSORI Importante l’eredità lasciata dai predecessori. «E’ una base, anche se alcune tradizioni invece sono sparite. Con don Teresio Cigala non c’era la prefestiva ma due messe di domenica: ne abbiamo tolta una e l’abbiamo spostata a sabato. Le novene e le messe per il Giorno dei morti a Olevano non si facevano. Il 29 settembre non veniva celebrato a Olevano e, rispetto a San Giorgio, c’era più festa a san Rocco». L’accoglienza delle diverse comunità è stata ottima.
Porto nel cuore Nicorvo, dove una signora mi ha fatto il regalo più bello, dicendomi grazie per aver insegnato loro a pregare. Sono stato molto gratificato, il vescovo Baggini mi aveva detto “Quando finirai il servizio e avrai riportato a Dio anche una sola persona, avrai fatto il tuo dovere”. Baggini mi aveva ordinato, mi faceva piacere averlo qui per la visita pastorale.
CRISTINA D’AVENA Olevano e San Giorgio vantano anche un’ospite d’eccezione, la cantante Cristina D’Avena che partecipa alle feste patronali e natalizie. Da dove nasce questo contatto? Eravate insieme a scuola? «No, io sono sempre stato un suo fan e la seguivo fin da quando girava gli esterni di “Kiss me Licia” a Brugherio, che è il mio paese. Ci siamo incontrati a un suo spettacolo al Ducale di Vigevano negli anni ’90, quando era più facile avvicinarla per via di una minore presenza di guardie del corpo. Lì ho scoperto che era una devota di sant’Antonio di Padova ed è nato un rapporto di amicizia. Il primo concerto a san Giorgio è stato il 22 aprile 2012, e da lì è venuta 13 volte, ottenendo anche la cittadinanza onoraria, e venendo a Olevano 4 volte». Nel paese col campanile più alto della Lomellina sono molto “campanilistici”? «Credo di sì, perché per farlo più alto misero una croce sulla punta alta tre metri. Ma il vero orgoglio qui sono i gruppi parrocchiali: l’associazione Cuore immacolato, i chierichetti, il coro. Il mio augurio a tutti i fedeli è quello di mantenere la fede qualcosa accada nelle loro vite, serve una comunità per farla andare avanti, non siamo assistenti sociali. C’è molto legame tra di noi, soprattutto ai funerali, e cerchiamo di stare vicini alle famiglie.
Davide Zardo